Questa poesia dialettale appartiene alla raccolta di sonetti "LÉ DÉS ZORNADE DEL QUARANTANÖF - Çento Sonècc en dialèt bressà" di Eugenio Paroli (Ed. Apollonio 1902)
Nell'uso che ancora oggi si fa del dialetto, il termine "Tajacantù" è ormai caduto in disuso. Sono però curiosamente sopravvissuti, fino a tempi piuttosto recenti, due termini strettamente legati ai ricordi delle Dieci Giornate: "barabì" e "croatì". Questi vocaboli venivano utilizzati nei confronti di bambini e ragazzi particolarmente turbolenti e poco controllabili. In alcuni scritti di memorie dell'insurrezione, si menziona il fatto che il popolo chiamava i più accesi fautori della resistenza a oltranza sulle barricate "i barabba". Forse qualcuno dei più anziani ricorda ancora che le mamme, condotte alla disperazione da qualche monello, minacciavano di portarlo "ai barabì" (italianizzando talvolta in "barabini"). L'intenzione era quella di riferirsi a un'antica casa di correzione cittadina. Ancora più carico di connotazione è invece "croatì", che richiama la nazionalità dei più temuti tra i militari delle truppe imperiali
(nel sonetto "Moimèncc de trüpe" si legge: "Varda i Croati col sò bröt müs
négher!"). Possiamo immaginare che i bresciani d'allora accomunassero, confondendoli in un'unica nazionalità,
tutti i militari di provenienza balcanica. L'esercito imperiale austriaco era infatti estremamente composito, come sottolinea la stessa poesia dialettale citata. Molte delle memorie qui riportate usano la parola "croato" come un epiteto in grado di evocare odiose reazioni. I ricordi delle atroci violenze di ogni guerra vengono però fortunatamente attenuati dal tempo fino a scomparire, se l'ottuso pregiudizio non torna a forzarne la nefasta rinascita.
Il vocabolo dialettale "goghi" è invece sopravvissuto.
Ai nostri giorni viene
adoperato come epiteto che identifica le persone sciocche che non sono in grado di capire nulla . Alla metà dell' '800 i "goghi" erano gli austriacanti.