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sistema che doveva ruinare la causa dell'indipendenza. A nessuno veniva dato il più piccolo grado od impiego se non era entusiasmato dalla proverbiale spada d'Italia.
Così, di inganno in inganno, di tradimento in tradimento, il popolo bresciano, tanto prode e generoso, diventava il più fanatico del partito realista, finchè l'appressarsi degli Austriaci nell'agosto lo risvegliava dal suo letargo. - Ma non era più in tempo.
Allora, mentre i destini della patria si agitavano sotto le mura di Milano, il popolo di Brescia, in cui tutto era risorto l'entusiasmo del 22 marzo, si stringeva intorno al generale Griffini, mandato dal Governo Provvisorio di Milano per preparare e dirigere la difesa della città. Quel generale dapprima finse di accarezzare il partito repubblicano e di voler servirsi del potente braccio del popolo; ed ove si fosse appigliato a tale partito, ed avesse concentrate in città le truppe che si trovavano nel Tirolo ed i contadini armati della provincia, Brescia avrebbe potuto opporre tale resistenza allo stanco esercito di Radetzky, da dar campo alla Lombardia di insorgere in massa e far pagare al vecchio maresciallo la capitolazione di Milano, carpita col tradimento del re sabaudo. Ma il generale Griffini, sia che si lasciasse intimorire dai maneggi dell'aristocrazia, che non voleva assolutamente che la città si difendesse, sia come sembra più probabile, che egli pur fosse ligio ai voleri di Carlo Alberto, abbandonava, fra l'esecrazione del popolo, vergognosamente la città con circa diecimila armati. Anche dopo tale ritirata una parte del popolo bresciano era così ardente d'entusiasmo patriottico, che rialzava l'albero della libertà, bramando sotto quello essere seppellito anzichè cedere, e solo con qualche dif-