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e dava a conoscere che la più piccola occasione d'ostilità lo avrebbe fatto irrompere. I più ragionevoli procuravano di reprimere per il momento quell'entusiasmo, i timorosi tremavano, gli aristocratici lasciavano quasi tutti la città, il Municipio vagava incerto senza prendere un partito decisivo.
Frattanto il Comitato insurrezionale che, giusta le istruzioni avute da Torino, avrebbe dovuto far scoppiare la rivoluzione il giorno 20, o al più tardi il giorno 21 marzo, faceva pervenire nel 19 sui ronchi di Brescia un pugno d'armati, circa cent'ottanta, composto di Italiani disertori dalle bandiere austriache e di volontari valligiani, che già da qualche tempo erano pagati ed organizzati, e trovavansi sotto la direzione del curato di Serle, don Pietro Boissava, uomo che al dilicato sentire, all'affabilità de'modi ed all'umiltà evangelica univa il più intenso amore di patria e l'intrepidezza del guerriero. A quegli armati qualche giorno dopo se ne aggiungevano altri, guidati dal dottore Maselli, uno dei giovani più ardenti per la causa dell'indipendenza. Per tale unione il numero di quei corpi-franchi fu portato a trecentocinquanta. Lo stesso Comitato secreto coi denari somministrati dal Piemonte, diciottomila franchi in complesso, aveva anche fatto apparecchiare, sfuggendo con grave pericolo al vigile sguardo della Polizia austriaca ed alle frequenti perquisizioni del governo militare, circa quattrocento fucili e quarantamila cartucce, oltre alle zappe, leve di ferro e scuri che potevano occorrere per taglio di ponti ed asserragliamento di strade.
Quegli armati riuniti sui ronchi accrescevano mirabilmente l'entusiasmo popolare, ed in processione i cittadini si portavano a visitarli con espansione di gioia,