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tato di difesa era risoluto di protrarre la resistenza per salvare la nazione dal disonore, la città dal saccheggio. Misera Brescia! Qual compenso avesti dal Piemonte per le cure affettuose che prodigasti l'anno scorso a' suoi figli, che idolatravi più de' tuoi fratelli di Lombardia? Ah, tu porgesti le mammelle alle zanne del lupo! Tu avevi scacciato il nemico, ed egli te lo ricondusse in casa; ora ti sollevavi di nuovo dietro sua istigazione, e ti abbandonava sola tra le fiere del Nord, alle quali desso porgeva la mano di amico. Io non parlo colla dinastia sabauda nè col ministero; con nemici di tal fatta è inutile il garrire, solo si può rispondere colla spada. Parlo alla nazione, che potè tollerare l'insulto e contemplare inerte il sacrificio de' suoi fratelli bresciani. Oh Piemontesi! Tutti i popoli civilizzati vi guardano con sorpresa e stanno per gettar sul vostro capo incancellabile macchia d'infamia. Prevenite il giudizio tremendo, mentre ne avete ancora il tempo, imbrandite la spada della libertà, e mostrate al mondo che siete veri figli d'Italia.
L'aurora della domenica 1.° aprile spuntava scolorata per la città di Brescia.
Non si udivano più gli inni patriottici, i gridi di gioia, le manifestazioni d'entusiasmo; si leggeva lo sconforto nel volto dei cittadini. Non insuperbite però, o tiranni! Le bombe e le baionette dei vostri satelliti non avevano infiacchito il potente braccio del popolo bresciano; lo spettacolo della morte di tanti martiri non faceva che accrescere energia ai loro cuori audaci. Non fu il timore che apportò lo sconforto alla città di Brescia; fu il sentimento dell'umanità, il quale, sconosciuto alle vostre orde, trova facilmente albergo nei petti bresciani.
Erano le ore nove circa del mattino. Il nemico dalla