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nite cautele a comprar armi, ammanir munizioni, levare le piante dei fortilizii eretti d'intorno al castello e in sulle Alpi Camunie, tessere una vasta rete e sicura di corrispondenze e di esplorazioni, lo spirito pubblico con quella misteriosa sagacità che tiene del divino, sembrava indovinare e presentire quel che s'andava preparando. I cittadini guardandosi negli occhi s'intendevano e si favellavano. Tutti dicevansi: Il Piemonte è in armi, Roma e Toscana si mettono in punto, dieci milioni di Italiani sono liberi di pensare e di concertare la vendetta: alla prima novella che l'esercito nazionale siasi mosso, noi faremo in modo che codesti cani non possano nè corrergli incontro, nè ritirarsi a salvamento nelle fortezze.

Così tra le speranze e i timori rinascenti, sotto l'imminente patibolo, in mezzo alle insidie nostrali e straniere passò codest'inverno del 1849 incancellabilmente memorabile per chi lo visse tra le incertezze dell'esilio, ma più ancora per coloro che prigionieri e quasi esuli in patria, lontani e segregati dalle notizie degli eventi da cui pendeva il loro destino, sospesi tra l'infamia e la gloria, passavano ogni notte come se fosse l'ultima notte di un condannato a morte, aspettavano ogni domani il giorno


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