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saggio, intimando che se la città non fosse ritornata in piena suggezione, l'avrebbe colpita di palle e di altre bombe. Il Saleri, datosi garante per la vita dei prigioni, insisteva alla sua volta per avere tempo di risolvere, provvedere, persuadere, - ma il ripetuto scambio di messaggi non condusse ad intelligenza alcuna.

Allo scoccare della mezzanotte il Leshke, in esatta esecuzione della fatta minaccia, aprì dal Castello un furioso bombardamento sulla città.

I cittadini validi non ne furono sgomenti, ma non potendo ammettere che fosse di buona guerra il dar di mano ad uno strumento di distruzione, che, nelle ore notturne, meglio che contro armati, sembrava diretto a colpire donne e bimbi giacenti nel sonno, i cittadini tutti si accesero a belligero furore. In un baleno la città fu desta, - i più si appressarono al Castello, a bersagliarvi i cannonieri, le donne si adoperavano alle barricate, - ad ogni colpo di bomba lanciato sul municipio radunato a consulta, o sul Teatro Grande, fatto caserma delle forze ragunaticcie cittadine, rispondevano unanimi, entusiastiche grida di: Viva l'Italia.! Viva il Piemonte!

Quella ridda di bolidi arroventati, quel frastuono infernale durò per tre ore consecutive, e solo cessava quando dai campanili si martellò a stormo, come se fosse una risposta cittadina al tuonare dei bronzi imperiali.


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