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Uomo schietto e di franchi modi, di carattere indipendente, d'una specchiata onestà, d'un animo che costantemente si propose la rettitudine e il dovere e qui non mi daranno smentita gli stessi suoi colleghi.

Amò la sua Patria, perchè mentre rumoreggiava la grande burrasca rivoluzionaria nel 1848. Egli faceva parte del Comitato d'insurrezione segreto Subalpino, assieme ai compagni dottor Guala Bartolomeo, professore Beretta conte Francesco, Cassago nobile Luigi, ingegnere Paolo Moretti, Lucio Fiorentini, ora R. Prefetto a Sassari, prete Luigi Montini, dott. Agostino Arici, prete Bortolo Deruschi e prete Faustino Robaisini, ed il benemerito canonico Don Emilio Tiboni che teneva nascosto l'archivio addetto al medesimo Comitato nel Seminario vescovile, che a quei dì c'era di mezzo la testa ove si venisse dagli austriaci scoperti.

Non parlo del 1849 nel quale si segnalò fra i più arditi e non s'acchetò e non si raccolse che quando si maturavano nuovi eventi, avendo la disastrosa catastrofe dì Novara sfruttato troppo precocemente l'entusiasmo degl'Italiani.

Nel 1859 incoraggiò e benedisse i due suoi figli Bernardo e Giuseppe che scomparvero come per incanto dalla loro Brescia ed entrarono nell'esercito italiano nel 10° reggimento fanteria e si trovarono nella gloriosa giornata dì Palestro.

Il primo nel 1860-61 deposta la toga impugnava il fucile, tra le fila dei volontari di Garibaldi e nel 1866 vestì ancora la camicia rossa.

Il secondo restò nel suo reggimento prendendo parte alle campagne del 1860-61 e '66, attualmente luogotenente nel R. Esercito nella milizia mobile.

Mentre quei figli degni della Patria erano nelle file dei combattenti (ch'io stesso vidi) nel ‘59, il loro padre dedicavasi alla organizzazione degli Ospedali militari, ed insieme al cav. ing. Barucco e prete Robaisini, conduceva I'Ospedale di S. Giulia con una assiduità e premura che fu lodabile per ogni verso.

Compiutisi i destini in favore della Patria nostra, attese


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