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PAROLE D'INTRODUZIONE

In alto i cuori.

A non molti accade che, essendo stati testimonii e parte di avvenimenti memorabili nella storia, sia loro concesso di poterne parlare e scrivere - un mezzo secolo dopo.

Fra questi non molti, vuole fortuna che io possa annoverarmi, per quel maraviglioso avvenimento che furono le dieci giornate di Brescia del 1849, e se, alla mia età, che volge all'occaso, io trovassi un sollievo e conforto al mio spirito in quelle lontane memorie, penso che tale sentimento potrebbe essere compreso dai più come assai naturale, e però che mi si possa acconsentire, pure con qualche benevolenza.

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Un lungo tratto di tempo che interceda dall'epoca, dell'avvenimento che si intende di illustrare, dà modo a completarne ed a purificarne la narrazione; la storia non può essere imparziale e però veritiera, e più, equanime ne' suoi giudizi, se scritta sotto le impressioni del momento; - è come un quadro che per essere bene apprezzato, non va veduto troppo da vicino per gli effetti ottici ed artistici del suo complesso, ma va guardato ad una certa distanza.

Nè penso in questo mio scritto di assurgere alla dignità dello storico, - ciò non intendo di fare e perchè altri mi avrebbe già preceduto, e perchè quella forma togata che impone la storia, mi farebbe inciampo nelle possibili divagazioni del mio racconto e mi renderebbe censurabile di ogni particolare meno esatto od omesso.

Nè tampoco vorrei restringermi negli angusti confini di una cronaca, e perchè questa del pari fu già fatta in prossimità degli eventi, e perchè mi assegnerebbe dei limiti non sormontabili per le considerazioni che scaturissero dalle mie osservazioni personali.

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Il Correnti, la sirena della penna, lo storico per stile insuperabile dell'insurrezione di Brescia del 1849, fu assegnatamente riservato e non scarso di lacune, perché scriveva sulla fine di quell'anno, quando molti degli attori del moto erano in Lombardia, e li avrebbe, col pubblicarne i nomi, gettati nelle carceri austriache per salire al più presto i gradini di un patibolo, - e fu ancora crudo in certi suoi giudizi politici imperocchè non fosse agevole il resistere alla foga dei momentanei risentimenti; - i cronisti che lo seguirono, ignorando quanto egli solo conosceva, riuscirono necessariamente incompleti.

Ma nel pensiero mio, chi può dopo un mezzo secolo rivivere e far rivivere in quei maravigliosi fatti, nei quali si riassume la storia della decade Bresciana del 1849, deve avere altro non meno nobile ma anco più prossimo ed utile intento, perchè corrispondente alle esigenze morali e politiche dell'oggi.

Federico Engels uno dei patriarchi del socialismo moderno, da poco defunto, stampava nel 1893 un commento in capo alla traduzione italiana del Decalogo della scuola,

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Il Manifesto del Partito Comunista del Marx, ed in esso affermava " che la rivoluzione di Milano del 1848, fu opera della classe operaia, giacchè fu essa che fece le barricate e che pagò di persona ".

Ci siamo richiamati a questa strana asserzione dello Engels, perchè dopo aver

sostenuto con Marx che gli operai non hanno patria, se da tale fondamento è sorta

una nuova scuola che nega la patria e la combatte, come una superfetazione antiquata, è ancora più strano il voler far credere che quando la si sia conquistata, la si debba ne' suoi principali fattori storici, ad una classe di popolo, che per dichiarzazioni dei suoi vessilliferi, non ne ha e non può averne alcuna.

A sbugiardare siffatti pervertimenti di uno spirito demolitore e settario, che tanto

guasto ha già fatto nel senso politico della generazione dell'oggi, la storia del nostro risorgimento ci offre un fatto luminosissimo indisputabile ne' suoi elementi preparatori e di azione, vogliamo dire l'avvenimento della insurrezione bresciana del 1849.

Quel moto, in una popolazione di 35.000 abitanti, fu unanime, ebbe consentanee in

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un solo ideale tutte le classi della cittadinanza, ed all'impulso atteso, seguì, con mirabile concordia, la cooperazione di tutti senza differenza alcuna di ceti, di età e perfino di sesso.

Possiamo affermare che quel moto non fu suggerito dalla borghesia sfruttante, nè dal proletariato che aspirasse ad una emancipazione qualsiasi dai vincoli del capitale, come ad alcuno piace di farneticare in oggi. No, e queste classi e quelle, e tutte sentivano pesare sopra di sè obbrobrioso il marchio della servitù straniera, che ne intristiva ogni progresso morale e materiale che le umiliava davanti a sè stesse e davanti al mondo, e questo marchio servile volevano da sè detergere a costo di ogni sacrificio.

E permettete gloriosi soldati e martiri della risurrezione italiana, che io deponga una nuova e vivida fronda d'alloro sui marmi che consacrano la vostra meravigliosa ecatombe, - a ciò mi sospinge un doveroso senso di gratitudine e di venerazione alla vostra santa memoria, ed il pensiero di ripresentare lo esempio vostro alla gioventù che sorge, perchè vegga come

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si aneli ad una patria da chi ne è privo, e perchè non la deturpino più mai imbelli querimonie, ma si affacci ad essa, in tutta la sua imperiosa maestà, il dovere di conservarla sicura di sè, rispettabile e rispettata nel Consorzio delle nazioni dove, dopo tanti secoli di bando ignominioso, prese finalmente il posto che le era dovuto.

Roma, 1° marzo 1899.

L. FIORENTINI.

 

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LE DIECI GIORNATE DI BRESCIA DEL 1849


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