Gli avvenimenti storici si possono paragonare a monumenti che l'umanità innalza lungo la via aspra del proprio destino, e la loro venustà più spesso. Terribile ma sempre grandiosa risulta da una coordinazione armonica di linee che veramente appare impresa da Mano Eterna. Questa armonia non si può distruggere bensì talvolta falsare con luci artificiose che gli uomini per le loro passioni vi fanno convergere. Per buona sorte l'umanità cammina, si innalzano nuovi monumenti, scompaiono le antiche divisioni e le cose del passato riappaiono nelle loro linee, nella loro sincera essenza di fatto umano riflettente la luce divina.

Non altrimenti avvenne di quel grande monumento che i bresciani nel 1849 hanno innalzato ed offerto alla Patria per la sua gloria.

Le Dieci Giornate ebbero dapprima in Italia, non all'estero come vedremo poi, una buona stampa, come oggi si direbbe, poiché nello stesso anno 1849 ne scrisse con cuore ardente e stile insuperabile Cesare Correnti; ma poi ecco accendersi a poco a poco le luci di parte, ecco sorgere narrazioni numerose e varie nelle quali testimoni o chi per essi, sia pure in buona fede, esposero i fatti con criteri personali e poco obbiettivi e fu così possibile alterarne il carattere e direi la colorazione in maniera da farli talvolta apparire conseguenza di date opinioni, opera di questo o quel partito, mentre la rivolta bresciana fu scoppio d'ira di tutto quanto un popolo generoso.

Ottant'anni sono passati da quei fortunosi eventi, le false luci. che si erano proiettate sulle giornate del '49 sono oggi spente nelle loro fonti stesse e la narrazione di quei fatti si può ormai scrivere spassionatamente.

Il manoscritto che qui di seguito viene riportato è una narrazione del conte Luigi Lechi; non occorre ripetere quanto fu detto in altra occasione. nella solenne adunanza cioè di quest'anno; si vorrebbe soltanto esprimere una lieta certezza che nasce spontanea dopo quanto si è detto sopra. Lo studioso che leggerà queste pagine e in modo speciale quelle della fine, accingendosi oggi o domani a scrivere compiutamente delle Dieci Giornate non potrà a meno di considerare e di vagliare con profonda attenzione l'operato delle due Autorità, del Dirigente del Comune cioè e del Comitato di Difesa, che in quei giorni di sangue ressero le sorti cittadine; studierà e indagherà poi, con lavoro paziente e difficile, donde provennero quelle voci false e quelle notizie inesatte che concorsero a rendere più tenace la difesa ma più terribile la strage, e sopratutto come si creò quel tragico silenzio sulle notizie della disgraziata guerra di Piemonte. Ciò farà lo storico coscienzioso dei nostri tempi per la sincerità della storia e, quel che più conta. per desiderio di giustizia.

Insieme con i foglietti del manoscritto delle Dieci Giornate, l'abate Lodrini, riordinatore delle carte dei conte L. Lechi, ha unito, pure scritti a mano, il proclama riportato in fine di questo Estratto, poi un comunicato mendace di un anonimo da Bergamo e infine le lettere che il Lechi, solo o in unione col Dossi, spedisce al Governo Sardo, a Vincenzo Gioberti, ad un " illustre Signore " contrassegnato da una sola M., ed all'amico conte Vincenzo Toffetti dimorante a Parigi.

Pensiamo di non far cosa inutile pubblicando anche questi scritti che dicono tutto l'affanno di quel degno cittadino bresciano, il quale non desiste un momento dal raccomandare la sorte della propria sventurata città a chi può avere una voce influente all'estero, specialmente a Parigi dove, come asserisce Cesare Correnti, "i giornalisti venderecci " diedero ai Lombardi "ogni mala voce per la guerra infelice e che il moto di Brescia, sì unanime e disciplinato, colorirono come tumulto di poveraglia e furore di matta demagogia".

Godevano allora gli Italiani di sì scarsa considerazione in Europa che a pochi valorosi uomini, caldi ancora del fuoco delle barricate, ancor frementi della vissuta rivolta allo straniero, toccava darsi d'attorno non per far conoscere la gloria del loro popolo bensì per difenderne il nome e l'onore!

Quanto cammino, Italia, in ottant'anni.


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