27 (marzo)
La pioggia cade a dirotto. Alle due pomeridiane le campane di S. Maria Calchera danno il segno dell'allarme. Il comitato di difesa e la guardia nazionale trasportano la loro resistenza nel palazzo Bargnagni, e tosto si danno disposizioni per la difesa. Al segnale delle campane di Calchera tutte le altre rispondono suonando a stormo. Al loro martellare si unisce il suono dei tamburi, a questo il grido: a Torrelunga, a Torrelunga! ed ogni armato accorre ove il pericolo e maggiore. Non guidati, non comandati da alcuno, tutti sono concordi, non è in tutti che un solo pensiero, quello di misurarsi col nemico che baldo s'avanza da S. Eufemia. Intanto le artiglierie del castello tuonano e scagliano palle e racchette sulla città; ad esse rispondono i cannoni appostati a Rebuffone, ma nulla arresta i nostri, che anzi più si fa accanita la pugna, acquistano maggior lena.
La zuffa, il trarre delle artiglierie, il rintocco delle campane durò sotto un continuo diluviare sino a cinque di sera. Mentre e accadeva la parte del popolo incapace di combattere accorreva animosa a spegnere gli incendi cagionati dalle bombe e dai razzi, senza darsi pensiero della mitraglia che gli sparava addosso il nemico.
Nostra fu la vittoria. Il nemico si ritirò acquartierandosi di bel nuovo a S. Eufemia e il comandante del Castello fece cessare la sinfonia delle sue artiglierie. I Bresciani, senz'essere condotti o almeno inanimati da militari provetti, posti fra due fuochi, stettero sempre fermi ai loro posti, mostrando un sangue freddo ed un valore degno di tempi migliori. Alcuni cittadini, armati di carabine (stutzen) dalla torre del popolo tiravano sui cannonieri del castello e parecchi cadevano sotto i loro colpi; altri s'inoltravano nel recinto della Postierla e di là colpivano le sentinelle che stavano di vedetta sulle mura del Castello. Quattro valorosi ebbero perfino l'ardire di piantare una spingarda di contro alla porta principale del Castello per tentare di abbatterla sparando a mitraglia. Non è possibile descrivere l'ardore e il coraggio de' nostri Bresciani che tutti, uomini, donne, vecchi, fanciulli correvano come leoni ad affrontare l'odiato nemico.
Cinquecento e più tra palle, razzi, bombe e racchette vennero fulminate dalla rocca sulla combattuta città. La cattedrale, l'ospitale, il municipio, i campanili delle chiese furono presi di mira. Due bombe caddero sul peristilio del teatro; una sul caffè Isacchi che intieramente lo rovinò, senza danno di quanti vi s'erano rimpiattati; furono danneggiate due case di contro al teatro; abbattuti i tetti di tre case vicino al municipio; di una al Granarolo, di altre a S. Catterina, a S. Nazzaro, sul corso degli Orefici. In diversi luoghi le racchette, produssero più o meno gravi incendi, che lo zelo e l'attività cittadina prontamente spense. Cessato il fuoco dal Castello, il comitato di difesa scrisse a quel comandante, che se si fosse nuovamente ripreso egli non rispondeva della vita degli ammalati austriaci ch'erano negli spedali. Propose di capitolare e di andarsene co' soli onori militari; e i Bresciani: Esca o senza armi o senza anima.
Non contenti i Bresciani della pugna del giorno, all'avvicinarsi della sera uno stuolo di prodi infiammati d'amor patrio, sortirono di città. assalirono improvvisamente l'avanguardia nemica a Rebuffone e scambiato un vivissimo fuoco la ricacciarono dietro le barricate di S. Eufemia. Tornati indietro trovarono Brescia tutta illuminata e giuliva, e i cittadini intenti a visitarne le rovine, a cantare inni patriottici e ad innalzare ringraziamenti a Dio. Nessuna vittima s'ebbe a compiangere da parte nostra. Molti feriti e buon numero di uccisi ebbe il nemico, che seco trasportò co' suoi carri. La notte fu passata tranquillamente, ma in gran vigilanza.