31 (marzo)
In fino al sabato nulla di straordinario. Grande vigilanza per tutto e sempre. Quattro volte per notte, o ad ogni lieve sospetto, i posti sono visitati dal caporale di ronda alla testa di un pattuglia, che ne fa rapporto al comandante del centro. Non difetto mai n'è di attività n'è di ordine!
In questo giorno si ebbe avviso dalla Commissione che, svanita ogni speranza di onorevole componimento, il nemico sarebbe disceso dal Castello, e senza frappor tempo, si rinforzarono i posti con quanto si potè avere di uomini oltre una quarantina ch'erano venuti di sussidio. Ogni posto fu provveduto di munizioni abbondanti; tutti si prepararono ad una valida difesa.
Poco prima che spirasse l'armistizio, un messo a cavallo, mandato dal Comitato di difesa, recò la notizia che Milano e Cremona erano in mano dei Piemontesi e che tenendo forte quel giorno e il di successivo la causa era vinta!
Stavano per scoccare le tre ore pomeridiane, quando la sentinella di vedetta diede l'avviso che un corpo di circa quattrocento fanti attraversava il ponte del Castello e scendeva per la strada principale.
Datone l'avviso a tutti i posti, e a cansare il pericolo di essere tagliati fuori, fatto sgombrare S. Urbano dai nostri e rafforzare le Consolazioni, si mandò per la città in traccia di gente armata.
Intanto che i nostri dietro la barricata delle Consolazioni, stavano di piè fermo aspettando che il nemico spuntasse dall'angolo della strada che mette a S. Simone, per fare ad esso un saluto, ecco presentarsi alla barricata alcuni Austriaci, che col mezzo di una scala a piuoli scendevano dal muro vicino alla chiesa. Molti valorosi si pongono allora dinanzi alla barricata e sotto il fuoco micidiale dei soldati rimasti sul muro, ricacciano nella piazzetta e uccidono i discesi, ma sul punto d'impossessarsi della scala, avvisati dai compagni, che altri nemici già hanno oltrepassato l'angolo di S. Simone, sono costretti a portarsi in salvo dietro la barricata istessa.
Il vivo fuoco dei nostri impedisce per altro il loro avanzarsi, se non che una improvvisa scarica fatta dinanzi e per fianco da que' che di continuo scendevano dal muro, costringe finalmente i Bresciani ad abbandonare il posto ed a porsi al di là della fossa del vicolo dei Santi, ove fanno alcune scariche contro gli Austriaci difesi dalla barricata da essi occupata. S'incomincia a tirare anche dagli appostati dietro le barricate del volto.
Forse era meglio aspettare che gli Austriaci si fossero avvicinati di più alla barricata, ma si temeva che potessero poi irrompere sulla piazza dell'Albera.
Intanto il rumore della fucilata aveva tratto sul luogo dove si combatteva alcuni cittadini i quali servirono non poco ad animare coloro che combattevano. Il numero totale dei difensori di questo posto importante era di circa ottanta., ma, se ne eccettui pochissimi, risoluti di resistere ad ogni costo, quantunque poco difesi dalla mal costrutta barricata del volto. Alcuni da principio sparavano dalle finestre che stanno di contro alla strada delle Consolazioni ma presto cessarono, perché i pagliaricci e le assi di che si facevano riparo, non bastavano a salvargli dalle palle nemiche, ed era sito pericolosissimo non concedendo via per ritirarsi. Anche questi si unirono a' primi. Sebbene sminuito il fuoco, gli Austriaci non si attentavano di avanzare: pur cacciati da' loro superiori uscirono dalle barricate.
Comparsa la prima squadra, il fuoco divenne terribile, e fu costretto di riguadagnare i ripari portando seco i compagni morti o feriti. Poco dopo dalle finestre delle ultime due o tre case presso la piazzuola delle Consolazioni., si mostrarono alcuni soldati, ma essendo posizione di nessun vantaggio, anzi pericolosa, perché esposta alle palle dei cittadini, il nemico continuò nel piano intrapreso, cioè di uscire con una sola squadra, la quale, fatta la sua scarica, si ritirasse per lasciar luogo ad un'altra facendo eseguire, negli intervalli, altre scariche dai soldati posti dietro la barricata. Pareva imitassero la strategia dei Bresciani i quali, fatta una scarica generale, si ritraevano per caricare le armi e lasciavano intanto sparare agli appostati alla barricata del volto. In seguito, i nostri, con miglior consiglio, si divisero in due di cui, mentre una parte caricava, l'altra continuava a far fuoco e a, decimare orribilmente il nemico.
Poche erano le vittime cittadine. E' fama che precisamente in questo punto il feroce ( Haynau ) abbia detto queste formali parole: Se avessi 30/m di cotesti indemoniati vorrei in un mese salutar Parigi.
Gli Austriaci che fino allora pareva non combattessero che trepidanti e per sola forza di disciplina, divennero ricalcitranti al punto che il tenente colonnello che li comandava, fu costretto uscire dalla barricata, porsi sulla porta della vicina casa e, brandendo la sciabola, costringerli alla esecuzione degli ordini. Cominciò quindi una specie di processione di soldati che l'un dopo l'altro scaricavano l'arma poi ritraevansi. Fazione paurosa, che mentre toglieva ai nemici il poco coraggio di che erano capaci, servì ad imbaldanzire i nostri, i quali miravano crescere i morti e i feriti dei primi senza guadagnare terreno. Finalmente si diedero al partito di uscire precipitosi in colonna dal loro steccato, e fatta fare dalla prima fila una scarica, di scendere correndo col loro comandante alla testa. In quel supremo momento i nostri, compresi da un solo pensiero, raddoppiano di coraggio e tutti insieme, si pongono di piè fermo ad aspettare il nemico che impetuoso si avanza. Dimentichi di s'è [per non esporre a pericolo la] salvezza della città., non più abbandonano le proprie file, nemmeno per caricare l'arma e mantengono un fuoco sì vivo e sì micidiale, che gli Austriaci, sbalorditi, e quasi fuori di sè, abbandonano precipitosamente il posto e retrocedono sbandati. Grande fu il macello che se ne fece. Una grandine di ciottoli slanciati dalla casa di fianco, finì di scompigliarli.
Ne' loro movimenti parevano camminare sul ghiaccio, tanti ne caddero. Riparati dietro le barricate, per qualche minuto tacque il fuoco d'ambe le parti. Gli uni cercavano rincuorarsi, gli altri espandevansi in atti di gioia.
De' nemici s'ebbe una cinquantina di feriti gravemente o morti, fra quali lo stesso tenente colonnello, caduto fra primi vicino alla fossa del vicolo dei Santi; de' nostri uno solo, al principio, colpito da palla nell'occhio sinistro.
Un ardito che più d'appresso incalzava il nemico, veduto cadere il tenente colonnello, protetto dall'angolo che è in faccia al vicolo dei Santi, si gettò nella fossa, e rimontando carpone dall'altra parte, sempre tenendosi disteso per terra, onde schivare le palle che gli fischiavano sopra, s'impossessò della spada e del cappello del comandante e riparatosi nuovamente all'angolo e indossate le acquistate spoglie, trionfalmente discese sulla piazzetta e quindi si recò al municipio. Questa è pura verità.
Le dieci giornate svisano il fatto. Erronea del pari è l'uccisore del tenente colonnello; da che fra un nembo di palle, a chi assegnare le tre che lo colpirono nel capo, nel petto e in una coscia? V'è chi assicura che Haynau scorgendo l'avvilimento delle sue truppe, facesse volgere i cannoni del Castello contro di loro e promettesse cento fiorini a ciascuno di quelli che si fossero avanzati per assalire le posizioni occupate dai cittadini.
Approfittarono di questo momento di sosta i nostri per rifarsi di munizioni, apprestare le armi e prepararsi a nuova pugna. Ma la prolungata inazione degli Austriaci fece nascere il dubbio che e' potessero aver tentato una discesa dalla scaletta di S. Urbano, onde sorprenderci alla schiena e porci tra due fuochi. Questo dubbio sparsosi colla rapidità del baleno, divenne certezza nelle accese fantasie dei nostri che quasi unanimi si misero a gridare: Alla Carità e ad avviarsi a quella volta lasciando soltanto dodici o quindici cittadini alla difesa di un luogo tanto importante. Se gli Austriaci se ne fossero accorti in tempo, la lotta sarebbe stata finita, poiché sbucati una volta da que' luoghi angusti, e padroni della piazzetta, avrebbero, forse con maggior furore, anticipate le stragi che poi commisero la domenica. Ma nulla sospettando di ciò ripresero le fazioni di prima, uscendo solamente più numerosi, e ricominciando un fuoco che i nostri sostennero con grande eroismo, quantunque debolmente, perché ridotti a non più di venti.
Il suono delle moschettate avvisò gli altri (di venire, lo che fecero) di tutta corsa arrivando in soccorso dei compagni. Gli Austriaci all'incontro, sospettando che, nato scoraggiamento nel popolo, e' si fosse ritirato per poi presentare, sboccando di nuovo, una fronte più numerosa, sicuri di vincere, discesero baldanzosi colle baionette spianate. Già i pochi rimasti sulla piazzetta e si ritiravano, credendosi abbandonati; già i rimasti, in numero anche minore, alla difesa della barricata del volto, che si tenevano spacciati, facevano gli estremi sforzi, allorché giunsero ad un tratto que' del corpo maggiore che con una scarica generale arrestarono il nemico presso casa Brognoli e ne diradarono orrendamente la fila.
Sopraggiungono allora altri venti o trenta cittadini di rinforzo, e tutti insieme con nuove scariche assalgono gli Austriaci, che già debolmente rispondono e per non rimanere tutti vittime si danno alla fuga lasciando il terreno gremito di cadaveri.
Non appena giunti alla barricata, un corpo di rinforzo si pone loro dinanzi e nuovamente discendono a lenti passi, sempre combattendo e non senza vittime d'ambo le parti. Senonché il fuoco degli audaci Bresciani facendosi sempre maggiore, il nemico, questa volta ancora, e con perdita assai più grande, dovette precipitosamente riparare dietro la barricata. Rinforzato di truppe novelle, reintegrate le file, ricominciato il fuoco, esso coglie un momento di resistenza per trasportare i suoi cadaveri, tra cui due ufficiali; e dalla barricata continua a sparare. N'esce talvolta per una scarica di plotone, ma sempre con grave danno perché poche delle nostre palle, favorite dal terreno andavano perdute, anzi ferivano, al di là della barricata, coloro che trasportavano i morti ed i feriti. Que' che salivano o discendevano l'erta del Castello erano continuamente bersagliati dal fuoco di due drappelli di cittadini che si erano appostati l'uno sulla bertesca di Broletto, rimpetto alla posta vecchia, l'altro nel giardino dello stesso palazzo. Oltre ciò erano accompagnati sino alla porta del loro covaccio o dalle palle degli stutzen che loro si sparavano contro dalla torre del popolo e dal tororrione di S. Faustino in riposo.
Che grave fosse la perdita degli Austriaci in morti e feriti abbastanza lo prova il bisogno in che si trovarono, verso le cinque del pomeriggio, di far discendere, siccome avvertì la nostra sentinella di osservazione, un nuovo corpo, quantunque men numeroso dei primi, in mezzo al quale fu creduto esservi lo stesso Haynau. V'ha chi assicura di averlo veduto far capolino dalla piazzetta di S. Simone, e che una nostra palla gli decimò il verde pennacchio, alcune penne del quale, giorni dopo, si potevano scorgere in quel luogo.
La nuova truppa eseguì le stesse fazioni dell'altra, e fu lo stesso il successo: da che, quante volte tentò di scendere, altrettante dovette retrocedere con suo grave danno. I nostri ne erano imbaldanziti: persino i timorosi, di cui parecchi vennero ad ingrossarne le fila. Il nemico, veduto impossibile l'avanzarsi, usciva dalla barricata talora ordinato in manipoli, tal altra alla spicciolata; sparava suoi colpi, indi ritraevasi trascinando seco morti e feriti.
Intanto parte di esso, rompendo a colpi di scure la porta dell'orto entrò nella casa del pittore Teosa, ne manomise o saccheggiò il mobile incominciando quell'opera di distruzione che doveva in seguito eseguire con tanta ferocia. La casa sull'angolo di contro e l'altre due attigue alla medesima, ebbero la stessa sorte.
Altri soldati aveano già prima invaso le case che, sovrastano gli orti dal lato di tramontana e ne oltrepassavano i muricciuoli. Entrati pel cancello posteriore nella casa che è contro alla salita principale che conduce alla porta del Castello, vi si posero a quartiere non senza averne prima rubato il mobile e incendiata parte. Della casa vicina non rimasero che le sole muraglie diroccate.
Questo gruppo di case co' loro giardini, hanno uscita sul piazzale di S. Giuseppe e ne' vicoli Orti e Pellegrini.
Fa rabbrividire il pensiero che gli Austriaci (se all'idea avesse risposto il coraggio) fossero, per quella via, discesi in città! I nostri prodi, di null'altro occupati che di combattere, sarebbero stati presi in mezzo!
All'imbrunire il fuoco cominciò a scemare e il nemico, lasciato a S. Urbano un buon numero di soldati, si ritirò finalmente in Castello.
La pugna era durata più di cinque ore. Gli Austriaci vi perdettero oltre ad un mezzo migliaio di uomini, parecchi ufficiali. De' nostri non si piansero che una trentina circa di morti ed alcuni feriti assai gravemente, per cui la maggior parte perì.
A prima giunta sembra inverosimile costesta sproporzione nel numero dei morti; ma lo attesta il fatto, lo attesta la perizia dei nostri nel dirigere i colpi, mentre come si scopre dall'impronta, le palle nemiche non ferivano che le case dirimpetto, lo attesta finalmente il rigagnolo di sangue che si vede scorrere dalla barricata ove riparavasi l'Austriaco.
Cessato il fuoco, verificato, dopo lungo aspettare, per le esplorazioni di alcuni animosi, la costoro ritirata, anche i nostri, affranti dalle fatiche, e bisognosi di cibo, lasciato alle barricate del volto un presidio di dodici prodi, che tratto tratto, con alcuni colpi, facea segno che si vegliava, pensarono a ristorarsi.
Verso le undici il corpo ch'era in S. Urbano, persuaso che pochi cittadini fossero rimasti a guardare i posti, spedì parecchi alla volta delle Consolazioni onde, spiare il numero dei difensori di quel posto e passar oltre, se pochi. Ma la nostra prima sentinella, sparato il fucile e dato il grido d'allarme, chiamò i pochissimi och'eranvi di presidio, i quali con animo invitto risposero ai colpi degli assalitori, e sostenuta per più di un'ora la dura prova, gli costrinsero a ritirarsi.