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Brescia, l'antica guelfa, così costante nell'amore, così nell'odio superba (come disse il Correnti), mantenesse quelle speranze cui la rigida realtà del disinganno non è mai tanto a togliere dalle anime confidenti e generose. Il tempo, la promessa di men dure sorti forse l'avrebbero potuto; non la ostinata ed insultante asperità del castigo e del disprezzo.

Il 26 settembre terminando le sei settimane dell'armistizio, veniva protratto a trenta giorni ancora.

Sei giorni prima (benchè non pubblicato nella nostra Gazzetta che il 13 ottobre) era già noto l'austriaco perdono a tutti gli abitanti del Lombardo-Veneto indistintamente per li passati avvenimenti, che ci assolveva dalle inquisizioni e dalle pene. Parlavaci quel decreto della solita promessa di una co stituzione corrispondente alla nostra nazionalità ed ai bisogni del paese , terminando coll'altra di un congresso di rappresentanti della nazione da eleggersi liberamente. Come poi le si adempissero, lo vedremo. Il 13 ottobre anche Osopo cadeva; ma la nobile Venezia, in cui, siccome ai tempi di Attila, erasi rifugiata la libertà del popolo italiano, resisteva ancora, mentre Vienna e l'Ungheria erano tutte in bollimento.

Ma intanto fra le rupi ed il silenzio delle nostre valli, i più arrischiati s'affaccendavano coll'indomita e pertinace virtù di chi non viene a patti. Costanzo Maselli di Bovegno, Giulio Bargnani fratello dell'esule Alessandro, Andrea Guerini d'Iseo, Gaetano Nulli e quell'eletto ingegno di Gabriele Rosa n'andavano per le terre d'Iseo, di Pisogne, di Marmentino rifacendo un Comitato d'insurrezione alpigiana. La Valcamonica dell'arditissimo Nulli, Calepio e Valle Cavallina dovean esser chiamate all'armi da Presti di Adrara e da Attilio Fedrighini di Sarnico. Bargnani, Marchionni e il capitano Medici, ridiscesi dalla Svizzera, s'accoglievano ad Iseo, guardando a Brescia, dove que'forti speravano av-


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