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ma silenzioso, di cui tutti presentivano gl'intenti ed affrettavano coll'ansia del prigioniero che attende l'ora vicina della sua libertà. I cittadini, guardandosi l'un l'altro, si comprendevano, ed una stretta di mano scendeva all'anima rivelatrice d'imminenti destini.
Il Cattaneo, lo Speri ed altri per noi citati, da Torino a Brescia portavano dispacci e ne ripartivano colle risposte, ma non sapevano donde venissero. Celatamente trattavansi le cose, ma coll'ardore d'una congiura. Fremeva il Piemonte, fremeva la terra lombarda, l'uno e l'altra impazienti che la guerra fosse intimata; nè mal s'apponeva il Mauri quando asseriva nella tornata parlamentare del 2 di marzo, che gl'indomiti Bresciani avean già provocate le ire dei loro tormentatori [1]. Speranza ormai più non era che nello scagliare un'altra volta il guanto della disfida, e certi che all'inimico violatore dei patti sarebbesi gittato [2], come fra noi se ne attendesse l'annunzio, non io dirò. La perduranza e la fortezza civile sette mesi bastata, quanti n'erano corsi dal fatale armistizio di Milano all'imminente disdetta, quella lenta agonia di popoli irritati ed impazienti, e la profonda rabbia amaramente trangugiata e crudelmente dagli Austriaci derisa, e il lungo attendere già presso a volgere in disperazione dell'avvenire, cessavano finalmente, e l'anima esilarata