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insurrezionale che bastò quasi fino agli ultimi istanti della splendida lotta popolana.
Ripiombatoci dalla rocca l'inesorato Haynau, fuggì il Boschetti, avventurato d'essersi tolto all'ira nemica; ed al povero proto fu tuttoquanto nell'incendio della propria casa incenerito il fatto suo.
Da un lato adunque il Municipio, che posto fra l'incudine ed il martello, raccomandava la calma, la prudenza, l'armonia [1]; dall'altro il Comitato, che muto, ma fervido agitatore, militi ed armi teneva in bilico, aspettante che di là dal Ticino s'incominciasse: Comitato e Municipio, che nelle acerbe distrette di un'incertezza angosciosa, paventavano entrambi che il popolo fremente ed irrequieto, al primo sorgere di un grido, memore alfine de' suoi caldi istinti, rotto ogni freno, travalicasse.
Ed il pericolo era grande: poichè già per le boscaglie dei colli suburbani luccicavano qua e là tra fronda e fronda i moschetti delle bande valligiane, che guidate dall'animoso Pietro Boifava curato di Serle, erano scese dalla prossime giogaje, come tratte all'odore della pugna, cui durante il verno, fra i geli e nel silenzio delle patrie rupi s'erano duramente esercitate.
Ma come nella prima, in questa più fatale, più perigliosa riscossa, che il ministero di Torino aveva pur suscitata, quando appunto dovea proteggerne lo scoppio, l'abbandonò [2]; rallentò, come vinto da inconsulte paure, la spedizione dell'armi e dei sussidj, che in tanto estremo (grame stille recato all'assetato) venivano lente, inceppate, a centellini: cosicchè l'Oldofredi