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ed il Correnti, proprio allora che urgevano ai sollevati, annunciavano (19 marzo) arrestato l'invio di quarantatre casse d'armi mille volte implorate [1].
Eppure la posta di tutte le forze mobili della insurrezione era in Brescia: qui venivasi colorando l'ampio disegno; qui grandissimo era l'ardore e l'alterezza degli estremi consigli. E a vero dire, situata fra il monte e la pianura, dirimpetto alle armigere sue valli, che discendono quinci dai limiti del Tirolo, quindi s'aprono tra le falde prealpine che dalla vette camune si protendono a quelle di Valtellina; superba degli indomiti suoi montanari; fatta centro di larghe vie che discorrendone la provincia fanno capo ai gravi passi del Mincio, dei Po, dell'Oglio, di Rocca d'Anfo; con un popolo marziale, d'istinti cavallereschi, pronto di mano, e d'alti e fieri spiriti, era ben naturale fosse luogo principalissimo dell'ardua impresa. Ma il Comitato mancava d'armi e di denaro [2]: nullameno, ad ogni evento aveva ottenuto che il Boifava, lasciate le suo montagne, apparisse, come fu detto, sui colli a noi vicini (19 marzo). Da forse quattrocento fra disertori e valligiani trasse il prete con sè, da lui raccolti per conto del Comitato e riforniti dell'armi, che sepolte al giugnere dei Tedeschi, ricomparivano. Già dal settembre aveva incominciato, cogli stimoli del Gualla, a radunarli. Era un'incondita ma terribile masnada. Varj d'abiti e d'aspetto, ma rudi e silvestri come le roccie che avevano abbandonate, erravano costoro pei colli meridionali; e quale cinte le pistole, qual gittato il moschetto ad armacollo, e quale armato del fucile, mettevansi alla posta, e dove appena spuntassero carriaggi, o corrieri, o militi sbrancati in