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dopo dimetteva nelle mani del Sangervasio la civica rappresentanza. Ne vedremo più innanzi la cagione: ma forse ancora, veggendo nonchè imminente, provocata dal popolo la rivolta, e farsi le condizioni più concitate e burrascose, non ebbe il coraggio di affrontarle.
Sul colle di s. Fiorano cresceva intanto l'adunarsi, quasi a festa cittadina, dei nostri proscritti, ringagliarditi da buon polso di quelle brave lame che seco aveano l'avv. Mazzetti e Tito Speri. Era la posta il ronco di Antonio Rossi [1]; e fra quel brulicame di risoluti, per la taglia caratteristica e selvaggia spiccava un prete.
Di torvo aspetto, di tarchiate e rubeste forme, con uno sguardo accigliato e sempre in volta come quello di un caecciatore, ravvolgevasi in mezzo a loro, cui fissava gli appostamenti e le fazioni, moderatore della vagante guerrilla. Col suo cappello a tre punte e ad ala un po' rallentata, ispido il mento d'una barba incolta e un po' canuta, calva e rugosa la fronte, bruno il volto e pensoso, armato il fianco di un enorme squadrone sobbalzante fra gli erti scaglioni del colle, coi neri panni del curato di campagna, sovra i quali splendevano bizzarramente l'armi lucenti, questo prete valligiano, combattente per la libertà de' suoi poveri monti, distinguevasi, come tipo a sè, dalle impronte svariatissime de' suoi disertori. Era questi, e già più volte l'abbiam nominato, il curato di Serle Pietro Boifava.
Nato il 28 luglio 1794 da poveri ma onesti genitori, impressionatosi dei tempi napoleonici, sotto l'umile veste dei prete montagnuolo lunghi anni compresse l'ira generosa contro l'austriaca servitù.