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sovente alle eterne postillazioni dei protocolli, e danno ai fatti un corso impreveduto, stava il popolo per finirla con quel malgiunto a modo suo: ma il Sangervasio, il Rossa e gli altri municipali affrontarono quella ondata, e valsero per un istante a rattenerla. Una mano di sette od otto militi passavano in quella da piazza vecchia. Fischi, urli, minaccie si levarono ad un tratto; volò qualche sasso, nè so dove que' disgraziati rinvenissero uno scampo.

Cessato appena quel tramestio, il sordo rumore di due carri, che venivano poco stante dal Corso degli Orefici. attrasse i cittadini. Eran viveri e legne che dal magazzino di s. Francesco s'avviavano, scortati da un pugno di fanti, alla rocca. Giunti a Porta Bruciata, fu tutta la piazza in movimento. Dalli dalli, gridarono cento voci, e in un baleno, disarmati i militi, pani e legne n'andarono sossopra: chi, fattone fardello, sfumava; chi, palleggiando a mo' di clava que' tronconi, tornavasi minaccioso all'invaso Palazzo. Fu terribile rimestamento, che sotto quell'angusta volta di s. Faustino Riposo e nel piazzale dell'Albera si prolungò; poichè alcuni gendarmi, sparando all'impazzata, esasperavano la moltitudine: irata questa, fu loro addosso per sì fatto modo, che costringevali a rintanarsi, donde più non ardirono far capolino.

Era intanto un serra serra di porte e di botteghe, un chiamare affannoso di madri e di mogli, un bollimento, uno scompiglio come di turbine improvviso. Poi nuova calma più minacciosa della bufera; poi dall'atto il tamburo dei presidio che suonava a raccolta; indi alle tre pomeridiane il rimbombo delle artiglierie. Dieci colpi tuonarono più a terrore che a danno; ma invece di terrore, infondevano lo sdegno ed il coraggio. Le austriache insegne venivano atterrate, calpestate, disterminate: più non era che un grido, un'ira sola.


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