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Ascoltati i nostri messi, rispondeva il generale si distruggessero le barricate, si deponessero le armi, e la ribelle città gli fosse data a discrezione. Avrebbe intanto per quattro ore trattenuto le schiere.
Riportati al Comitato gli acerbi detti, si radunavano a consulta i cittadini, e dalle vie che mettono capo alla piazza municipale si rovesciava il popolo, come a comizio tumultuoso, per la risposta; ma non appena dall'alto della ringhiera venivaci bandito l'austriaco patto, prorompendo coi grido - piuttosto la guerra -, corremmo all'armi perchè i fatti corrispondessero al magnanimo sdegno ed alla fiera parola.
Eppur dubbie correvano le notizie della guerra; eppur, quasi che inermi, non avevamo nè regolari milizie nè artiglierie: tutto irto di cannoni stavaci a sopraccapo un castello, alle porte ingrossava l'aspettante ed agguerrito nemico. Crebbe il furore, quando un sacerdote, levatosi tra la folla. ricordò il martirio del prete Pulesella, dagli Austriaci fucilato, e rincuorandoci l'un l'altro più non pensammo che all'imminente conflitto [1].
Nè il Comitato s'arretrava, e sparso il grido non trattarsi che di un pugno di Tedeschi subito dispersi [2], rispondeva per lettera al generale, avere il popolo respinte le sue proposte, pronto a seppellirsi nelle rovine della sua città: badasse, non al principiare dell'assalto, gl'infermi e i prigionieri dal popolo tenuti, venissero massacrati [3]. A tener viva la speranza e