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Spalancato il cancello, forse dugento di quegh intrepidi avventandosi agli imperiali, ne li ponevano in fuga, sicchè per poco non riuscivano addosso ad un cannone del retroguardo, che dovette a gran carriera mettersi in salvo [1].
Ogni palmo di terra dai nemici abbandonato veniva preso dai cittadini, che sostenuti dal fuoco dei nostri banditi, riacquistato Rebuffone, premendo a tergo le sperperate ordinanze, le rincacciavano a s. Eufemia. Nebuloso era il cielo, ed una triste atmosfera incumbeva sul campo; e benchè macerati dalla pioggia, con feroce letizia continuavano i nostri a batterle senza posa e ad inseguirle: poi reduci, scuotendo come a trionfo sulle bajonette le spoglie del vinti e degli uccisi, attraversavano baldanzosi le plaudenti contrade, quasi tornassero da una baldoria cittadina. Venute le tenebre, la città fu come a festa illuminata, ed una larga refezione ristorò gli spossati ma esultanti vincitori.
Fremevane il Leshke, e dal suo covo tuonando spietatamente, appuntava, cieco d'ira, le bocche de'suoi cannoni contro il civico spedale. Ma il Comitato, come dicemmo, lo fece stare a segno; perchè avvertitolo che ad ogni bomba dirizzata a quell'ospizio avrebbe spacciati dieci infermi de' suoi colà raccolti le palle nemiche pigliarono all'istante diversa via [2].
Se non che il castellano ad altro ed insolito danno doveva rassegnarsi: poichè al mattino del 28, il Comitato delle difese, scelto un polso de' più esperti tiratori, armatiti di stutzen , li appostava sulla torre del popolo e sul pendio dei colli: sicchè di là facendo bersaglio ai certi e misurati colpi i cannonieri e le scolte della rocca Cidnea, vedevansi cadere sui parapetti all'insaputa come colti da invisibile mano. Di che arrabbiava il Leshke, e mentre nuovi e più sicuri parapetti innalzava, di nuove bombe venivaci fulminando.