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Poichè sotto la piova del 27 i disertori del Boifava, che erano scesi dalle alture per cogliere di fianco al caffè Mancabelli le ordinanze nemiche, assalite di fronte dalle brigate di Antonio Bosi [1] e di Tito Speri, le videro finalmente rincacciate a s. Eufemia, ritornavano, come dicemmo, alle fidate loro poste [2], sempre il moschetto in resta, teso l'orecchio come segugi, all'appello dei capi. D'allora in poi procedevano i nemici assai rimessamente; brevi e timidi drappelli di Croati s'appressavano alle mura, ed al primo saluto dei nostri fucili sparivano ricomparendo qua e colá, poi dileguavano col fare di chi tende un laccio.
La nostra balda gioventù li tenne impauriti: non lo Speri per altro, che giovane anch'esso ed animoso, ma più pratico ed avveduto, ne ammoniva un polso de' suoi, che piena ancora la mente della splendida sortita del 26, e per poco non accusandolo di pusillanime, irrompeva quasi a tumulto dalle barricate e dai cancelli di Torrelunga, respingendo gli Austriaci a s. Francesco. Lo Speri anch'esso, trascinato da quella foga, dovette pur sostenerla; e fatte due grosse squadre, veniva, rasente il colle, seguitando i suoi.
Il Nugent non voleva di meglio: perchè avendo già preparate a largo cerchio due grandi catene di militi appiattati, l'una verso i campi, l'altra sui colti meridionali, ed appostato fra due colline un mezzo battaglione di fanti, attendevaci al varco. Cominciò allora il fuoco; ma con impeto sì fatto