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d'orgoglio e di tenerezza, e più che di guerriere, rendevano immagine di martiri cristiane [1] ". I vecchi, i sacerdoti, tolti alle pacifiche abitudini della loro vita, incoraggiano sereni e ridenti, lavoran' essi medesimi alle arginate, ai parapetti, agli steccati, respirando, come dice il Correnti, un'atmosfera di sacrificio e di amore. Tutto è movimento d'uomini animato, diffuso, ardimentoso.
Scoccano le due: triste, caliginoso è l'aere d'intorno, imminente è l'assalto, e noi stessi ne diamo il segnale, noi primi colle nostre campane, suonate gloriosamente alla distesa come un giorno di festa; ed al solenne rintocco ribolle il sangue degli accorrenti all'ultime difese.
Dalle mura, dalle porte, dai tetti, dalle torri, dalle finestre comincia il moschettare dei nostri, cui rispondono ma lentamente i cacciatori tedeschi. Principia il tuono del cannone alla villa Maffei, ed allo scoppio delle bombe, voci di scherno, di gioia, di provocazione risuonano per le vie, mentre avvolte nella nebbia quattro schiere di fanti nemici, girando intorno alle mura, s'appostavano alle porte della città per isfondarle quando il cannone della rocca n'avesse dato il segnale.
Alle tre pomeridiane la povera Brescia fu assaltata per ogni parte. Quinci le artiglierie suburbane, quindi le mitraglie, i razzi, le granate del castello, battendo furiosamente a Torrelunga, ne fracassavano i cancelli, le barricate, gl'intoppi, e spazzando con frastuono orribile le contrade, lasciavan libero il campo ai sorvenienti nemici. E i fanti dello Speri a propulsarli duramente, a mantenersi intrepidi fra tanta rovina alle trincee da quegli orribili colpi sfracellate.
" Nè quivi tutto era lo sperpero, il travaglio: un battaglione di Badesi veniva giù per lo clivo del colle Cidneo; ma rincacciato dall'impeto dei nostri, non ritentò la discesa se