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ad altri. Fissata la porta di s. Giovanni per quest'ultimo conato, tutto era pronto [1]; quando alcuni municipali, a sè chiamato dal prossimo convento di s. Giuseppe il vecchio padre Maurizio provinciale dei Riformati, lo pregavano d'interporsi fra l'ira tedesca e la percossa città. Volonteroso il buon frate accoglieva la proposta, e preceduto da candida bandiera di pace sorretta dal Marchesini, con un suo confratello avviavasi coraggioso alla rocca fatale. Ma, da un lato, dispettando con alterezza sdegnosa l'inchinarsi a patti, parecchie volte i nostri gli attraversavano la via; dall'altro gl'inimici lo impedivano, risoluti a non concedere quartiere. Finalmente dopo lento aggirarsi ed implorare, salito il colle, fu innanzi al feroce Haynau. La veneranda canizie, la suadente parola, quel non so che di grave e di solenne di cui si circonda un antico eremita, che già curvo dagli anni, abbandona la povera cella per combattere le truci voglie di un vincitore bollente di rabbia e di vendetta, non profittò: le prime parole del maresciallo furono quasi d'insulto, sicchè indarno gli fu recata una lettera degli austriaci prigionieri, supplicante l'Haynau si ricordasse di loro, ed altra del Municipio di rassegnato richiedere a quali patti potrebb'essere cessata l'orrenda strage. Pur finalmente, chiedendo il barbaro maresciallo al padre, chi e' si fosse, e saputolo già maestro del figlio di Luciano Bonaparte, intrattenevalo quasi a diporto su l' uom fatale , di cui dicevasi ammiratore. Ma il povero frate cui troppo acerba veniva e quasi ironica in quegli istanti crudeli la insistenza delle inutili parole, tornò alle suppliche.