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Il mattino del 2 d'aprile irrompono i Croati nella città, nè v'ha chi ardisca uscirsene di casa, ed i pochi necessitati ad arrischiarvisi, e' si assalgono, si percuotono, si dispogliano. Nè quei ladri s'accontentano a ciò; ma vanno in traccia di case aperte, e delle chiuse atterrano le porte: quante assalite, altrettanto sono le invase; sforzano i cittadini ad aprir loro ogni angolo, ogni secreto; rubano, insaccano, e bestemmiando se ne vanno. Comandata al popolo la consegna dell'armi, il consegnarle è più fatale del ritenerle; però che i più solleciti a recarle in Municipio, sorpresi collo schioppo arrovesciato lungo la via, sono all'istante passati per l'armi. Non porta, non bottega se non asserragliata, e da per tutto desolazione e terrore.

Alle otto di quel mattino, condotti dal barone Appel, cui la città doveva essere affidata, entravano altri fanti, che si gittavano, fiutando come bracchi ove qualche reliquia rimanesse di preda; e teso l'orecchio dove dall'imo delle case uscisse lamento di rimpiattati, frugavano per rinvenirli. In questo mentre il maresciallo, accusandoci della rivolta, e d'aver noi primi sfidata l'ira sua col battere a stormo le campane e coll'opporgli una resistenza disperata, aveva già decretato - l'armi tutte venissero in 24 ore consegnate; dopo quel tempo chi avesse un'arma sarebbe fucilato; fucilato il proprietario della casa in cui fosse rinvenuta, o per manco del padrone, l'agente suo; per le cinque pomeridiane le barricate fossero distrutte; rimesso alle contrade l'antico selciato; passata l'ora, sarebbero multate le confinanti case; gli stemmi dell'Impero venissero ricollocati; la provincia (che non si era pur mossa) e la città pagassero in un anno la multa espiatoria di sei milioni; sborsasse il Comune pei feriti e per gli orfani dei rimasti sul campo trecentomila lire in quattro mesi, coll'obbligo del risarcimento alle casse militari ed alle Pub-


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