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bliche dei danni per la rivolta sostenuti; dovesse intanto la soggiogata Brescia passare a ciascun milite una lira, ed agli ufficiali le competenti diete dal 26 di marzo al sei d'aprile, riservata al maresciallo Radetzky la punizione degli eccitatori della rivolta [1].
La qual punizione fu sì fatta, che già il torrione della rocca, a mezzodì del ponte levatojo della interna cerchia, brulicava di prigionieri: ivi il prete Andrea Gabetti, povero sacerdote d'Urago Mella, uscito da Torrelunga dietro permesso di un ufficiale che l'ebbe tosto incarcerato; Pietro Venturini, preso inerme in casa propria; il maestro Canobbio, col resto di quegli infortunati, attendevano l'ora estrema. Trentotto venivano fucilati quasi tosto [2] nel più interno girone; e il due d'aprile, sugli spaldi solitari del Ravarotto, ove sorge il monumento dei martiri Faustino e Giovita, ventidue fra cittadini e seguaci del Camozzi cadevano infranto il petto dalle palle tedesche nelle fosse preparate. Il giorno appresso altri diciassette furono massacrati, nè qui cessava la strage.
Entrando L'Appel nella mesta città, deserte n'erano le vie come in giorno di feriato; le porte o serrate o squarciate dalle scuri; qua e colà divampanti ancora le arsicce travi, le muraglie annerite dal fumo, e le case tempestate a gran solchi dalla grandine delle palle: sconvolti gli acciottolati, spezzati i lastrici delle contrade e accumulati a puntello dei parapetti; gli avanzi delle barricate serbanti ancora nella incondita forma il furore di chi avevale costrutte, e nel diroccamento il terrore dei vinti; dovunque mobili ed arredi e stoviglie, come più volle ira e dispetto degli invasori, sfracellate e peste: dovunque sprazzi di sangue e vesti lacere, e le fiere