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case, correvano i cittadini ai feriti ed agli incendj; e fu notato che divampando tutto un quartiere, ed ivi recandosi alcuni Tedeschi per combattere quelle fiamme, venivano accolti con imprecazioni, talchè dovettero lasciarci soli al mesto ufficio.
E certo nè allora, qui aggiunge il Correnti, nè poi risero di Brescia gli stranieri, o il riso non passò loro la strozza; e il fatto di Carlo Zima, col quale noi chiuderemo queste pagine dolorose, attesti di che tempra erano gli animi dei vinti e dei vincitori.
Sorpreso con altri sei nell'osteria di Antonio Mostacchi (che impeciato ed arso alla croata, finiva ei pure la vita), veggendolo contratto ed isciancato, deliberavano i soldati di abbruciarlo anch'esso per contemplarne con gioja crudele le contorsioni. Ma lo Zima, come fu tutto avvolto nelle peci ed infiammato, scagliatosi d'un tratto al suo carnefice, ne l'avvinghiò di sì tenace distretta, che arsero e morirono insieme.
Misera e gloriosa Brescia, che coll'armata cittadella in capo, tutta intorno recinta da un esercito cresciuto a ventimila uomini, non difesa che dal petto dei cittadini, da pochi fucili, dai ciottoli, dai coltelli e dalle barricate; tutta sola, derelitta della sua gioventù corsa a combattere sul Ticino, senza militi regolari, come l'impeto suggeriva degli istinti generosi, per dieci giorni alto sostenne il grido antico di valorosa e indomita città. Più di mille cinquecento soldati, un generale, due colonnelli, quattro capitani, 36 ufficiali rimasti sul campo, attestavano come per lo italico avvenire avesse Brescia non perduto, ma vinto.
Trecento case furono date alle fiamme, e passò il danno i dodici milioni di lire. Mille seicento bombe e palle d'artiglieria ci piovvero dalla rocca; e parecchie dirizzate dal Leshke alla fronte del palazzo municipale, quel miracolo delle italiche arti, barbaramente ne tempestavano gli eleganti