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Così l'Italia, che dopo i fatti di Novara già disperava di sè, da queste vittime imparò come si possa con gloria consacrare la sventura e salvare l'eredità dell'avvenire.
Ma purtroppo, durante quei fatti nessun generale dell'esercito piemontese volse un pensiero alla infelice e resistente città; sicchè il Lamarmora (che n'ebbe avviso due volte) soleva rispondere, pensasse Brescia a sè. Per lo ingrato abbandono protestavano indarno i Comitati, supplicanti perchè, a salvarci dall'ultima rovina s'interponessero i ministri: ma nè allora nè poi, duranti le varie trattazioni della pace, fu parlato di Brescia, donde le continuate asperità nemiche.
Cessata la lotta, venivano le inquisizioni; e biechi satelliti e delatori e birri e commissari fiutavano per ogni lato dove si nascondessero i promotori di tanto ribollimento, già campati del resto dal tedesco artiglio. Diversi carri attraversavano le vie (5 aprile) per ricevere L'armi cittadine che dovean essere consegnate pel mezzodì della dimane. Passata quell'ora, visite a domicilio, e ad ogn'arma scoperta, fucilazione, mentre durava sui colli di Gussago e pei monti vicini la caccia contro i dispersi del Camozzi e del Boifava. Intanto il rimutato Municipio (6 aprile) si raccoglieva onde estendere un reclamo a Radetzky, perchè, se non perdonata, fosse almeno la pazza multa de' sei milioni diminuita. Ho inutilmente cercato l'originale di esso; nè mi rimane che riprodurlo quale mi venne allora comunicato [1].
" Quando i comandanti del terzo corpo d'armata (così l'istanza) abbandonavano la nostra città, lasciavano il Municipio ed il popolo responsabili della pubblica quiete. Ma dove si tolgano pochi gendarmi, non rimase alla carica municipale