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In quanto a noi, il Piemonte dopola battaglia di Novara (molto bene descritta dal Ranalli [1] e dall'Ulloa [2]. ma il cui racconto non era di queste pagine) non poteva darsi pace; mentre il popolo irritato, il quale nelle grandi sconfitte non vede che traditori, accusava ministri e generali. I deputati che protestavano doversi vincere o morire; e colla mente ed il cuore torbidi, esagitati, risollevavano nel Parlamento, contro l'infamia (com'e'dicevano) dell'armistizio, la tempesta dell'anima loro.
Del resto, Genova ribellata (31 marzo) e macchiata di sangue fraterno, e le sabaude campagne fino alla Sesia invase dall'armi tedesche. Sciolta la legione lombarda, presidiato da tremila Austriaci il forte di Alessandria, l'uno dopo l'altro adempiuti i patti della tregua [3]. Poi caduto il Ministero, le Camere licenziate, fucilato un generale; il popolo, l'esercito, i magistrati confusi ed abbattuti; dappertutto un aggirarsi d'uomini come stordi e trasognati, un dubbio iracondo, che come suole nei grandi disastri, infamando soldati e capitani, raddoppiava il dolore della sventura col sospetto del tradimento.
La scompigliata legione lombarda, la sola probabilmente tradita dal giustiziato Ramorino [4], ed alla quale molti Bresciani