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Come a ristoro, venivaci la carta monetata [1], nuovo pascolo a'tranelli ed alle angherie degli ingordi usurai, e l'annuticio che dal 1.º di giugno a tutto il 1849 le pubbliche imposte venivano prestabilite in lire 49,196,000 [2].
In quanto a noi, fra la caccia dei poveri disertori, che isolati od a drappelli vagavano pei nostri monti, e i ritornati commissari di Polizia che fiutavano per ogni lato onde cogliere alla sprovveduta qualche liberale, e la superba albagia dei vincitore che passeggiava pettoruto e insultatore le nostra contrade, e lo sconforto degli animi profondo, passavano giorni desolati, senza che un raggio pur di lontano accennasse ad un'ultima speranza. Come a' tempi di Attila, sulle venete lagune s'era tutto raccolto lo sforzo estremo della spirante libertà: ma fu scintilla d'una face che prima di spegnersi getta più vivido l'ultimo lampo. Molti Bresciani sugli spaldi gloriosi della indomita Venezia battagliarono da forti sino a che più che vinta, affranta dalle bombe, dal cholera, dalla fame, l'animosa città, fatta segno allo stupore ed alla pietà di tutta Europa, il 24 agosto soccombeva, e l'ultimo ruggito del suo leone mostrò all'attonito straniero quale anima gagliarda moriva con lui.
Gli ufficiali dell'esercito italiano colà sorvissuti agli stenti, alla guerra ed alla peste, esulavano: 40 cittadini n'andavano proscritti, e con essi quel grande la cui memoria, fatta più splendida dalla sventura e dalla virtù, vivrà eterna nel popolo italiano - DANIELE MANIN. - Una pietra murata nella fronte della sua casa ne portava il nome. Cadde infranta dalla stupida Polizia [3]; ma nessuno di quei frantumi andò perduto: