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essi vennero involati come sante reliquie dai cittadini. Or giunta è l'ora, in cui non un povero sasso, ma uno splendido monumento la redenta Venezia gl'innalzerà.
E forse dallo sciogliersi allora dell'esercito tedesco, e dal ritorno delle lombarde guarnigioni, ci venne recato il germe pestilenziale di quel cholera, che già tra i Veneti incumbeva. Li subiti provvedimenti del nostro Municipio valsero a tarpargli nei primi fomiti la violenza; non però tanto, che dal 10 agosto al 2 novembre 1849, sopra 276 colpiti nella sola città, non ne cadessero 180 [1]. Le prime ad essere attaccate furono le terre di Desenzano e di Lonato [2], e più d'ogni altra fu desolata la prima, in cui recavasi da un Erhald militare del presidio di Verona (17 luglio), flagellata allora dal terribile morbo [3].
In questo mentre la sfortunata Brescia pur manteneva nella sconfitta la sua nobile alterezza: e quando nel giugno la provinciale Congregazione, sulla proposta di Giovanni Zambelli, lui medesimo spediva con Faustino Feroldi e Camillo Polusella a Vienna per ossequiarvi l'imperatore ed implorarne il perdono e la clemenza, ne fu irata l'intera città; ed una protesta della bresciana emigrazione, dichiarando quell'atto servile, iniquo ed illegale, abbandonava que' disgraziati alla pubblica esecrazione, come uomini che rinnegata la patria, cercavano stuprarne l'onore, a noi costato sì duro prezzo di patimenti e di sangue [4].
Non valsero perdoni, non amnistie: quella del 12 agosto, non escludente, in quanto a Brescia, che il conte Giuseppe Martinengo, Luigi Contratti, Carlo Cassola, l'avv. Giuseppe