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testa a segno a me (troppo fanciullo, forse, per comprendere tutta la gravità di quella mia disgrazia), aveva invece influito sul carattere di mio padre, così da renderlo triste, quasi cupo, e (lo capii più tardi) desideroso di null'altro che di morire. Era io che lo teneva ancora legato alla vita; ma se egli fosse stato sicuro che a lui ed a me ad un tempo potessero essere aperte le porte dell'eternità, certamente non avrebbe mosso un dito per prolungare a se stesso ed a me la grama esistenza che insieme si conduceva.

Durante la guerra del 1848 mio padre, mancando di lavoro, aveva seguito l'esercito piemontese come garzone d'un vivandiere: sotto Mantova s'era buscato le febbri malariche, sicchè aveva dovuto ritornare a Brescia e cercare ricovero all'ospedale. In tutto quel frattempo io ero rimasto affidato alla carità di pietosi vicini, tanto poveri quanto noi. Nell'agosto avevo passato delle ore ben tristi nella corsia dell'ospedale, accanto al letto di mio padre!

Finalmente, nel settembre, egli era uscito dall'ospedale perfettamente guarito, rifatto, pronto e disposto a ritornare al suo mestiere, ch'era quello del falegname. Allora, mi sistemai anch'io: divenni fattorino di un negozio di mercerie, mestiere che si confaceva ottimamente al mio carattere: muovermi per i magazzini, correre da un punto all'altro


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