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Durante il regno Umberto I, nell'ultimo scorcio del XIX° secolo, l'Italia attraversò un delicato ed importante periodo di trasformazione infatti, uscito dall'unificazione privo di una forte identità nazionale, la giovane nazione si trovò impreparata ad affrontare la sfida della prima modernizzazione sotto il segno di una crisi economica che flagellava soprattutto le aree meridionali, accrescendo i già notevoli squilibri interni. In questo contesto maturò la conflittualità sociale di fine Ottocento, in seguito sfociata in tutto la penisola di agitazioni contadine e scioperi operai.
Tra il 1892 ed il 1893, in Sicilia, ci furono scioperi e occupazioni di terra proclamati da operai, contadini, zolfatari che nel 1891 avevano fondato i Fasci dei Lavoratori, il cui obiettivo era una condizione di vita e di lavoro più umana.
Nel gennaio 1894, il Presidente del Consiglio Crispi proclamò lo stato d'assedio nell'isola: di conseguenza i Fasci furono sciolti d'autorità ed i loro leader arrestati, mentre all'esercito ed a tribunali ad hoc veniva affidato il compito di riportare l'ordine soffocando definitivamente le residue adunate sediziose. Provvedimenti analoghi vennero presi in Lunigiana, dove l'agitazione dei cavatori di marmo, alimentata dalle misere condizioni di vita, si stava trasformando in un tentativo di protesta armata, non priva di conati insurrezionali. Alcuni mesi dopo Crispi proclamò a tutta la penisola lo stato di emergenza e, tramite leggi eccezionali, decretò lo scioglimento del partito socialista e delle molteplici organizzazioni sindacali. Tuttavia, nel 1898, la crisi tornò a esprimersi ben presto in pericolose agitazioni quando il cattivo raccolto fece lievitare alle stelle il prezzo del pane e, nel mese di maggio, l'insostenibile situazione della classi inferiori esplose in scioperi e tumulti alle quali il governo, in nome della lotta contro il nemico interno che minava l'unità dello stato, rispose con il pugno di ferro.
A Milano adunate contro il carovita erano degenerate in sommossa popolare, per cui il governo decise di proclamare nella città lo stato d'assedio e concesse pieni poteri al generale Fiorenzo Bava Beccaris che, al comando di 15.000 soldati, sfamò con il piombo dei cannoni gli affamati milanesi. Le statistiche del tempo contarono circa un centinaio di morti e 500 feriti.
Il quotidiano liberalzanardelliano "La provincia di Brescia", in data 8 maggio 1898, così riporta quei tragici avvenimenti:
"Città e borgate d'Italia in questi giorni sono state teatro alle più deplorevoli scene: turbe di uomini, si sono rovesciati nelle piazze urlando per il rincaro del pane, e trascendendo a saccheggi, ad incendi, a violentissimi atti di ribellione alla forza pubblica, per cui ne seguirono dolorose repressioni. A Milano, si può dire che la città sia in stato d'assedio, ma né lo stazionare di truppe, in tutti i quartieri, specialmente in quelli dove sono più facili i tumulti, né l'arrivo continuo di nuovi soldati sembra preoccupare queste turbe eccitate.
La pattuglie di dimostranti si erano fatte verso mezzogiorno numerose e di quando in quando si univano prendendo l'aspetto di battaglioni. Disperse dalla cavalleria si riunivano dopo poco tempo ingrossandosi sempre di più. Il numero totale degli scioperanti si fa ascendere a circa 40 mila.
Con la proclamazione dello stato d'assedio, gli arrestati verranno deferiti ai tribunali speciali militari. I soldati sono autorizzati a fare arresti individuali. Gli arrestati, senza istruttoria, verranno sulle conclusioni dell'avvocato fiscale militare, portati direttamente all'udienza per essere processati da ufficiali militari. I difensori non potranno essere che ufficiali. Oltre la sospensione del "Popolo d'Italia" è stata ordinata dal generale commissario anche quella del "Secolo" provocata certamente dagli articoli preparati per il numero di ieri. Oggi la città ha un aspetto tranquillo ed apparentemente ha ripreso la consueta animazione. Gli energici provvedimenti e le decise risoluzioni prese dal regio commissario generale Bava Beccaris sembra abbiano portato lo sgomento nelle fila dei facinorosi. In tutti i punti della città stanziano pattuglie armate di carabinieri e di soldati. Ormai si può dire che i rivoltosi sono stati espulsi dalla città. Sembra che fra gli operai incominci a prevalere la ragione, i negozi all'interno della città sono quasi tutti riaperti ed è ormai rientrata la fiducia negli esercenti che ieri a ragione erano atterriti."
In seguito, il generale Beccaris fu decorato dal re Umberto I con la Croce di Grande Ufficiale "per rimeritare il grande servigio reso alle istituzioni e alla civiltà".
Il governo italiano giustificò i brutali interventi agitando il fantasma di una cospirazione antisabauda capeggiata da tutti i partiti d'opposizione: repubblicani, anarchici, radicali, socialisti, cattolici furono schedati o incarcerati, vennero chiuse le leghe di resistenza, sciolte le associazioni socialiste e cattoliche e numerosi giornali chiusero i battenti. L'eco della rivolta milanese in provincia di Brescia, fu minimo: disordini e proteste in Piazza Vecchia a Brescia, a Travagliato, Maclodio, Cellatica e Provaglio d'Iseo.
Nonostante l'inconsistenza dei disordini, il governo decise l'invio di un generale a tutelare l'ordine pubblico ed i suoi primi provvedimenti furono l'arresto di sabotatori e sobillatori, retate nei circoli politici e decretò lo scioglimento del Circolo Operaio Bresciano, della Camera del Lavoro, del Comitato Diocesano e di tutte le organizzazioni clericali. Inoltre cessarono le pubblicazioni giornali d'opposizione come "Brescia Nuova", "L'Innominata", "La Voce del Popolo" ed "Il Frustino".
Dopo poco più di due anni, il 29 luglio 1900, Umberto I, a Monza, veniva ucciso in un attentato per mano dell'anarchico Gaetano Bresci, giunto dagli USA per vendicare i morti del '98 ed il regicidio ripropose drammaticamente tutte le tensioni irrisolte della politica italiana post-unitaria. L'Ottocento tramontava, per l'Italia con le cannonate di Bava Beccaris, il nuovo secolo sorgeva con l'omicidio di Umberto I. Cessava così con questo cruento episodio un periodo gravido di tensioni e insurrezioni e ne incominciava un altro più aperto alla comprensione dei problemi sociali.
Per quanto concerne la vita politica bresciana, il predominio del partito liberalzanardelliano, guidato dal triumplino Giuseppe Zanardelli, proseguiva nonostante la fastidiosa opposizione socialista e clericale.
Dopo la il 1876, anno che causò l'eclissarsi della Destra Storica e l'ascesa della Sinistra in Parlamento, entrò nel gabinetto Depretis come ministro dei Lavori Pubblici e nel gabinetto Cairoli come ministro degli Interni.
Tra il 1881 e il 1897 era, a fasi alterne, a capo del ministero di Grazia e Giustizia e, durante questo periodo, Brescia ebbe un incremento delle vertenze processuali tra lo Stato e la Chiesa dato che egli temeva il cattolicesimo in quanto pericoloso diffusore di idee istituzionalmente offensive ed incitanti all'odio antistatale, inoltre promulgò decreti contro i circoli cattolici ed invitò le autorità di pubblica sicurezza a vigilare sull'attività della Chiesa.
Fu l'ideatore del nuovo "codice penale Zanardelli", il primo del regno d'Italia, entrato in vigore il I° gennaio del 1890 e durato fino al 1931, quando venne rimpiazzato da un codice elaborato dall'insigne giurista fascista Alfredo Rocco.
Il codice si basava su due importanti novità: il principio della libertà di sciopero per i lavoratori e l'abolizione della pena di morte: l'Italia fu il primo paese d'Europa a promulgare una legge del genere.
Infine, dopo aver ricoperto la Presidenza della Camera tra il 1892 ed il 1899, raggiunse il culmine della carriera politica con la nomina a Presidente del Consiglio tra il febbraio 1901 ed l 'ottobre 1903 quando, a causa delle precarie condizioni di salute, dovette dimettersi.
Nonostante i numerosi impegni politici nazionali, lo Zanardelli s'interessò sempre della politica bresciana, sia cittadina sia provinciale, ed un particolare occhio di riguardo lo ebbe per la Valtrompia che, oltre ad essere un importante serbatoio di voti per il proprio partito nonché la sua terra natale, essa era il centro nevralgico dell'industria siderurgica ed armiera bresciana.
Tutto il periodo zanardelliano è ricco di appalti e concessioni che lo Stato, tramite la notevole influenza politica dell 'illustre statista bresciano, procacciò ai nascenti stabilimenti locali.
Nel 1895, le elezioni amministrative sancirono, dopo un lungo periodo di assoluta egemonia zanardelliana, la vittoria della della cordata elettorale costituitasi tra laici moderati e i clericali che aveva espugnato sia il consiglio comunale che quello provinciale.
La carica di sindaco di Brescia passò da Giuseppe Bonardi al conte Francesco Bettoni Cazzago, a cui sarebbe spettato il delicato compito di governare con forze eterogenee riunitesi allo scopo di ampliare il palcoscenico elettorale.
Al contrario, alla presidenza del consiglio provinciale venne eletto Lodovico Bettoni, ed a capo della giunta provinciale approdò l'avvocato Pietro Fugoni. I clericali, i cui voti erano stati determinanti per il successo elettorale, appoggiarono esternamente le giunte e rifiutarono prestigiosi assessorati. La seguente tornata elettorale politica, confermò lo stesso anno la débacle liberale dato che solo i seggi di Iseo, Brescia e Verolanuova furono conquistati dai candidati liberalzanardelliani.
I cattolici, grazie all'importante vittoria, spezzarono così i ceppi dell'anticlericalismo a cui erano stati legati per parecchi anni ed inoltre, ci fu il passaggio delle consegne per la gestione degli istituti religiosi e dei centri previdenziali ed assistenziali.
In tutta Italia, alle soglie del XX° secolo, i focolai di rivolta accesi sul finire dell 'Ottocento, si erano spenti ed il governo, per mezzo di un'amnistia generale, scarcerò i prigionieri politici e Giolitti, divenuto ministro degli Interni nel governo Zanardelli, aveva capito che il movimento operaio e contadino non poteva essere affrontato con una politica autoritaria, e che lo Stato avrebbe dovuto inaugurare una nuova era caratterizzata dal dialogo con le opposizioni.
A Brescia, ripresero le pubblicazioni "La Voce del Popolo", "Il Frustino" e "Brescia Nuova", in seguito risorsero la Camera del Lavoro, le leghe di resistenza operaie ed i diversi enti ecclesiastici.
Nel 1902, in città, in occasione delle elezioni per il rinnovo del consiglio comunale, si erano formati due schieramenti opposti: quello dei clerico-moderati, il cui successo era già stato sperimentato in passato, e quello dei tre partiti animati da un comune spirito anticlericale: il liberale, il socialista e il repubblicano.
Alle elezioni comunali dell'estate 1902, l'eterogenea coalizione laica, meglio conosciuta come blocco popolare, riuscì a far eleggere sindaco il conte Federico Bettoni Cazzago e Giuseppe Zanardelli venne eletto Presidente del Consiglio Provinciale.
Con il ritorno al potere dei partiti aderenti al blocco popolare si diede inizio nel 1902 un lungo periodo di modernizzazioni in campo politico, culturale, economico e sociale.
Vennero concessi ingenti finanziamenti ai diversi enti assistenziali che operavano in città ed in provincia: la Camera del lavoro, il Consorzio infortuni, l 'Ufficio Igiene, l'Umanitaria, la Cassa pensioni e la Lega Antialcolica.
Tra gli altri importanti interventi ricordiamo lo stanziamento di fondi per l'edilizia popolare, per la scuola, per il risanamento igienico-sanitario della città e per l'assistenza ai lavoratori in campo previdenziale e sociale. Inoltre, nel 1907, si costituiva l'A.S.M., l'azienda servizi municipalizzati, la cui nascita veniva sanzionata da un referendum cittadino, cui veniva assegnato il delicato compito di gestire enti come la fabbrica del ghiaccio, la società di trasporto urbano e le centrali elettriche.
Altri ambiziosi progetti furono quelli di accrescere il livello di vita della cittadinanza e di ovviare al problema del sovrappopolamento, alla carenza di servizi ed infrastrutture. Fu così che la giunta comunale investiva fondi per un un importante progetto di sventramento urbano: sorsero nuovi e moderni rioni popolari dotati di elettricità, servizi igienici, fognature, acqua potabile e maggiore attenzione venne data all'aspetto estetico e, in tal modo, si cercò di migliorare la pessima situazione igienico-sociale dei degradati quartieri di periferia.
Inoltre, per stroncare la piaga dell'analfabetismo, diverse scuole cittadine organizzarono corsi serali gratuiti in cui venivano insegnate agli studenti-lavoratori storia, italiano, geografia, matematica e calligrafia ed è importante ricordare che in quel periodo, l'istruzione era una componente fondamentale per l'esercizio del voto.
Tuttavia, i nodi di un'alleanza elettorale eterogenea vennero presto al pettine visto che le divergenze ideologiche all'interno del consiglio cominciarono a farsi sentire e, nell'ottobre del 1904, a seguito dello sbriciolarsi del patto bloccardo, la Giunta comunale diede le dimissioni ed il governo inviò un commissario straordinario che amministrò ad interim la città.
Due anni più tardi, a seguito di nuove elezioni amministrative, il comune ritornò appannaggio dei liberal-zanardelliani.
In occasione delle elezioni politiche del 1909 papa Pio X, che era succeduto a Pio IX al soglio Pontificio, aveva acconsentito, mitigando così l'enciclica Non Expedit, che i cattolici avessero votato candidati liberali allo scopo di impedire la pericolosa vittoria socialista. Il progetto papale consisteva nel sostenere i partiti liberali a condizione che questi avessero tutelato gli interessi cattolici come l'inviolabilità del matrimonio e l'insegnamento della religione nelle scuole. A Brescia e provincia, grazie all'appoggio dell'elettorato cattolico, i candidati moderati conquistarono così sette seggi alla Camera.
Nel 1911, scoppiava il conflitto italo-libico e, nelle piazze, i nazionalisti rievocavano alle genti i domini di Roma imperiale mentre i cattolici annunciavano la crociata cristiana contro le falangi musulmane. La guerra, che si risolse a favore dell'Italia, fu la prova generale delle profonde spaccature ideologiche che si sarebbero verificate nella tragica estate 1914.
Nel 1912, in seguito ad una nuova legge elettorale, venne introdotto il suffragio universale maschile, grazie al quale il corpo elettorale passò da 3.300.000 a 8.600.000 votanti, il che stava a significare la conquista del diritto di voto da parte delle classi meno abbienti.
Alle elezioni politiche dell'ottobre del 1913, le prime a suffragio universale maschile, il numero degli elettori in provincia di Brescia triplicò, inoltre i risultati confermarono quelli del 1909 e medesimo esito ebbero le successive elezioni amministrative.
Quando lo sparo di Gavril Princip a Sarajevo appiccò fuoco alla polveriera balcanica, l'Italia, firmataria con gli Imperi Centrali della Triplice Alleanza, proclamò la sua neutralità. Il governo italiano era stato colto di sorpresa dagli avvenimenti e l'Austria, violando l'integrità territoriale della Serbia, aveva trasgredito il trattato difensivo e l'opinione pubblica era spaccata divisa in interventisti e neutralisti.
Riguardo alle posizioni politiche locali, per i bresciani la Grande Guerra era la spontanea conclusione del lungo processo di riunificazione risorgimentale, inoltre venivano ricordatele battaglie preunitarie di San Martino e Solferino, e le rivolte contro al dispotismo asburgico di Francesco Giuseppe. Infine, la città natale di Tito Speri non aveva dimenticato il brutale bombardamento, ordinato dal generale austriaco Haynau, subìto nel 1849 durante le Dieci Giornate.
Nelle piazze si tennero importanti ed energiche adunate interventistiche alle quali il governo prestava particolare attenzione dato che Brescia confinava con l'Impero Austro-Ungarico e, riguardo all'orientamento della cittadinanza, essa prestava orecchio più volentieri alla propaganda irridentistica piuttosto che agli appelli dei pacifisti.
Durante i primi mesi del conflitto, l'attività economica era molto ridotta in tutti gli stati belligeranti e, dato che ci si era preparati ad una guerra breve,ogni stato belligerante cercava di resistere con le proprie scorte. La prospettiva di una campagna lunga poneva all'improvviso gravi problemi, infatti bisognava creare con urgenza un'industria bellica stabile che avrebbe rifornito i fronti di armi, munizioni, derrate alimentari e salmerie. Era così necessario l'incremento di fondi a disposizione per la ricerca e lo sviluppo militare ed il controllo statale su tutte le forme industrie.
In quanto all'economia bresciana, il crescente bisogno di elettricità per le industrie siderurgiche e meccaniche, contribuì al rapido moltiplicarsi degli impianti idroelettrici e, per la Valtrompia, cuore dell'industria armiera provinciale e nazionale, il conflitto significò una richiesta sempre più urgente di spolette, granate, proiettili ed armi bianche varie.
In conclusione, l'omicidio di Francesco Ferdinando del 28 giugno 1914, sanzionò la fine del "Secolo Lungo" e l'inizio di quello "Breve". Era dal 1815, cioè dal tramonto dell'età napoleonica, che l'Europa non veniva martirizzata da guerre fraticide. Tuttavia, a distanza di un secolo, tutte le grandi potenze erano nuovamente impegnate in un conflitto a carattere iperbolico e nessuna delle cancellerie europee aveva vaticinato una guerra logorante di trincea.
Dopo un lungo periodo di pace, i popoli europei, ipnotizzati dalla propaganda guerrafondaia, preferirono la guerra alla neutralità e non si resero conto di cosa avrebbe significato la mobilitazione militare ed economica.
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- Scritto da Paolo Pioli
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Spulciando gli atti della Provincia di Brescia dal 1860 al 1960 si trovano (oltre a infinite tabelle di bilanci e consuntivi) anche interessanti passaggi e alcune curiosità.
Riporto qui, per interesse storico e… linguistico, uno stralcio della seduta ordinaria del 13 agosto 1900, che si aprì con la commemorazione del Re Umberto I, ucciso dall’anarchico Gaetano Bresci il 29 del mese precedente: la Storia vissuta attraverso la storia locale.
[…] È pure presente il Comm. Avv. Augusto Borselli, Prefetto della Provincia, il quale […] chiama a fungere da Presidente provvisorio il consigliere anziano sig. Bettoni Co: Comm. Lodovico e da Segretario, pure provvisorio, il sig. D.r Rutilio Mensi, consigliere juniore. Indi, fatta la chiama e riscontrato legale il numero degli intervenuti, il Prefetto in nome di S. M. il Re Vittorio Emanuele III dichiara aperta la sessione ordinaria 1900 del Consiglio Provinciale di Brescia.
Il Presidente (tutti i Consiglieri si alzano in piedi) informa che non appena egli e la Deputazione Provinciale appresero l’efferato assassinio dell’amatissimo Re Umberto I., si affrettarono a rendersi interpreti dei sentimenti del Consiglio col seguente telegramma:
Ministro Real Casa – Monza
« Rappresentanza Provincia Brescia, indignata nefando parricidio, associasi profonda universale costernazione per la perdita dell’amatissimo sovrano, simbolo d’eroiche virtù onde l’Italia insuperbisce. »
Bettoni, Presidente Consiglio Provinciale
Si ebbe la seguente risposta:
Presidente Deputazione Provinciale – Brescia
« S. M. il Re ringrazia delle affettuose condoglianze che dimostrano la viva parte presa da codesta Rappresentanza al cordoglio della patria e della Reale famiglia. »
Ministro Ponzio Vaglia.
Ora – aggiunge – spetta al Consiglio riunito l’esprimere i sentimenti suoi sopra un tremendo delitto che non ha riscontro nella storia e che ha gettato nel lutto l’intera Nazione.
Un infame sicario ha spento Re Umberto, esempio di coraggio e di prodezza sui campi di battaglia, angelo di conforto e di carità in mezzo all’umanità sofferente, pronto a lenire il dolore ed a tergere la lagrima dell’infelice, incrollabile nella giurata fede, fervente nell’affetto del suo popolo.
Infatti l’abbiamo visto imperterrito sui campi di Villafranca accogliere l’irto tremendo di poderoso e fiero nemico e valorosamente respingerlo; l’abbiamo visto accorrere a Napoli ed altrove tra colerosi e porgere loro conforti e soccorsi, e a Casamicciola in mezzo alle rovine, in cerca della sventura per sovvenirla; l’abbiamo visto elargitore sempre, e munifico, a sollievo dell’indigenza, in mezzo al suo popolo per istudiarne i bisogni e soccorrerneli. Modello di Re costituzionale, non venne mai meno ai suoi giuramenti, cercò sempre il bene e la grandezza del suo paese.
Ora questo Re modello è scomparso; efferata mano assassina l’ha tolto alla Nazione che l’adorava. Quanto pervertimento dello spirito umano, quanta raffinata malvagità!
In altri tempi remoti e barbari, con atto pur sempre esecrando, il sicario colpiva il tiranno; ora colpisce il Re nel quale si personificano la bontà, la lealtà, la giustizia. (Approvazioni).
A questo pensiero la coscienza si ribella, un fremito di orrore e di sdegno ci assale.
Ma non lasciamoci però sorprendere, né dall’ira né dallo sgomento; cerchiamo invece tutti di far argine all’onda avvelenata che ci minaccia e combattiamo l’uragano. Rivolgiamo poi il pensiero nostro a quella Augusta, Pia e Derelitta Donna, che per le affascinanti sue virtù il popolo chiama Stella d’Italia, e che nello strazio dell’immenso dolore passa i suoi giorni nell’angoscia e nel pianto. Inchiniamoci davanti alla virtù sventurata e rivolgiamole il nostro riverente e profondo compianto.
Rivolgiamolo al nostro Re Vittorio Emanuele III, suo degno figlio orbato del padre diletto, e che assume in tempi sì tristi e calamitosi il governo del paese; alla graziosa Regina che gli sarà di ausilio e conforto.
Stringiamoci intorno al Re devoti, concordi, fidenti, stringiamoci intorno alla sua gloriosa Dinastia, che ci ha dato una Patria e ce la manterrà libera e grande.
Viva il Re!
Tutti i consiglieri applaudono e gridano Viva il Re!
La commemorazione prosegue poi con gli accorati interventi del Prefetto Borselli e del Presidente della Deputazione, onor. Frugoni, il quale infine delibera
un concorso di L. 500 pel monumento nazionale che, auspice la provincia di Verona, si vuol erigere sui campi di Villafranca, e la somma di L. 20,000 per un’opera di beneficenza in Brescia da intitolarsi Umberto I, riservandosi di determinarne in seguito l’indole e la natura.
L’ordine del giorno viene approvato per unanime acclamazione.
Il Novecento era quindi cominciato.