Le immagini che illustrano questo articolo provengono dall'immenso fondo fotografico dell'Archivio di Fondazione Negri.
Nel periodo compreso tra l'unità d'Italia e la Grande Guerra l'economia italiana conobbe una trasformazione profonda attraverso la quale, il paese da agricolo si trasformò in industriale. Nonostante l'ingresso nel Gotha dei paesi sviluppati, il prodotto interno lordo non raggiunse mai il livello dagli Stati Uniti, Francia, Regno Unito e Germania.
Con l'industrializzazione, a causa dell'abbandono dalle campagne di una notevole massa di manodopera disoccupata, anche in Italia si verificò in moso sempre più massiccio il fenomeno dell'urbanesimo, cioè la crescita delle città e la tendenza della popolazione ad agglomerarsi nei grandi centri urbani.
Questo fenomeno determinò una ridefinizione complessiva dell'assetto urbano: il centro cittadino diveniva la sede del sistema economico, con le banche, uffici e strutture commerciali, mentre la popolazione abbiente risiedeva nei quartieri residenziali e, al contrario, i lavoratori andavano ad ingrossare le periferie ed i quartieri popolari che sorgevano ala periferia della città dove. Gli operai erano ammassati in dimore sovraffollate con strutture igienico-sanitarie precarie in cui si radicarono problemi difficili da risolvere come la povertà, il tifo, la tubercolosi e l'alcolismo.
Questo enorme spostamento di popolazione produtiva attivò un altro fenomeno del periodo: la formazione del proletariato industriale. Dalle circa 600.000 unità rilevate tra il 1876 ed il 1890, si passò ai 2.600.000 del 1900.
Questo incremento non fu solo quantitativo, ma anche qualitativo, visto che la presenza sociale del proletariato favoriva la crescita del movimento operaio, che diventava così una delle componenti salienti del sistema politico e sociale italiano.
Ma tra il 1870 ed il 1910 il fatto demografico più significativo, destinato ad avere enormi conseguenze nella società italiana, fu l'emigrazione milioni di italiani, soprattutto meridionali, costretti ad espatriare per motivi di lavoro negli USA, in America Latina e nei paesi più industrializzati d'Europa.
L'industrializzazione infatti, concentrata nel Nord Italia, si opponeva al sottosviluppo meridionale, abbandonato ad una economia agricola arcaica basata sul grande latifondo.
Nasceva così uno dei problemi ancestrali della società italiana: il dualismo tra il Nord sviluppato, pienamente inserito nel contesto delle grandi nazioni europee, e il Sud condannato ad una posizione di subordine per le industrie settentrionali, senza nessuna prospettiva di uscire dalla storica arretratezza economica.
In questo contesto aumentava il divario tra la società urbana e quella rurale: la prima conosceva una difficile modernizzazione, nella quale si intrecciavano la caduta del tasso di mortalità, le migliorate condizioni igienico-sanitarie ed una circolazione di idee più intensa che coinvolgeva anche gli strati meno abbienti della popolazione.
Al contrario, la seconda era incatenata ad una condizione di estrema miseria: le condizioni di vita della popolazione contadina apparivano talvolta incredibili per la loro durezza dato che essa era flagellata da malattie come la pellagra e la malaria. La vita si svolgeva talvolta ancora in capanne ed era sottoposta a vincoli semifeudali dove l'autorità del latifondista si estendeva all'intera collettività.
Negli anni tra il 1902-1907 l'industrializzazione assunse in Italia la massima accelerazione all'interno della fase di generale sviluppo iniziata nel 1896 e durata fino al 1914. Su una popolazione di circa 32 milioni di abitanti, nel 1901 gli addetti all'industria ammontavano a circa 4 milioni di persone. Nel 1911 gli addetti all'industria erano saliti a circa 4.000.000 e, nonostante l'esiguo incremento, rilevante fu l'aumento della produzione, ottenuto grazie a una gestione più oculata e ponderata dei capitali e della forza-lavoro. Inoltre la crescita dell'industria in questo periodo fu agevolata dalla collaborazione economico-finanziaria fra i neonati trust e lo stato. Di vitale importanza, fu l'investimento di capitali bancari nel campo siderurgico e meccanico che agirono da elementi innovatori e modernizzatori.
All'alba del nuovo secolo, Brescia appariva una città moderna, dotata di servizi ed infrastrutture al passo con i tempi come un nuovo acquedotto, la fabbrica del ghiaccio, illuminazione elettrica e tramvie elettriche. Fu in questo quadro urbano che emersero nuovi e rinomati stabilimenti come la Franchi-Griffin, la Wuhrer, la Metallurgica Bresciana, la Fraschini & Porta e la Togni.
Evento economico culminante del 1904 fu per Brescia l'Esposizione Bresciana svoltasi all'interno del castello. L'inaugurazione avvenne il 28 maggio, con l'intervento di S.M. Vittorio Emanuele III e del vescovo Corna Pellegrini. Per l'occasione si organizzarono importanti spettacoli folckloristici, saggi ginnici, corse motociclistiche e diverse gare sportive. Inoltre era stato inaugurato in castello il Museo del Risorgimento, tramite poi una tramvia elettrica, si collegava il colle del Cidneo al corso Zanardelli.
Moderni chioschi, puntualmente occupati da centinaia di espositori bresciani, vennero costruiti in stile liberty sotto la direzione dell'ingegnere Egidio Dabbeni.
L'idea dell'esposizione, che aveva lo scopo di esporre i prodotti industriali di tutte le nazioni, aveva come tema il progresso che, non senza ragione, era il pensiero dominante della Belle Epoque. Per gli inorgogliti bresciani, l'ammirare i moderni macchinari, era un'esperienza di esaltante euforia. L'esposizione, oltre che ad essere un avvenimento storico nazionale, ebbe anche effetti secondari non indifferenti per l'economia locale dato che una parte degli introiti contribuì a promuovere l'applicazione delle moderne innovazioni all'industria.
Il bilancio preventivo aveva calcolato uscite per L. 290.000, e si pensò di reperire i capitali tramite il supporto finanziario di enti assistenziali, istituti e società, con l'emissione di azioni e con la prevendita di biglietti d'ingresso.
Dalla capitale, grazie ai buoni uffici dello Zanardelli, giunsero i finanziamenti del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, altri fondi giunsero da Provincia, Camera di Commercio, Ateneo, e da diverse banche bresciane. L'Esposizione era suddivisa in 5 differenti sezioni: Previdenza, Armi e Sport, Agraria, Arte Sacra e Industria; a sua volta, ogni sezione era composta da un comitato capeggiato da un vicepresidente, un segretario e diversi consiglieri.
La sezione Industria era suddivisa in undici divisioni: industrie estrattive, alimentari, meccaniche, della carta, chimiche, tessili, edilizie, dei trasporti, del forestiere, manifatture varie e sezione elettrotecnica. In tal modo, la città aveva dato l'esempio del progresso industriale e l'Esposizione fu un validissimo segno.
Per quanto riguarda l'industria ”nuova”, quella elettrica, ebbe non solo un notevole incremento, ma suscitò addirittura illusioni, dal momento che il Nord Italia, ricco di laghi e fiumi, avrebbe potuto far fronte al proprio fabbisogno energetico. Nel 1889 la società milanese Fraschini, Porta & C. inaugurava a Calvagese, sul Chiese, una centrale idroelettrica che negli anni seguenti sarebbe diventata una delle più importanti nel bresciano.
Nei primi anni del Novecento, la crescente richiesta di elettricità invogliò diverse ditte a fondare un'azienda moderna che avrebbe consentito di produrre, trasformare ed esportare energia anche alle provincie confinanti. Vedeva la luce, nel maggio del 1905, la Società Elettrica Bresciana che negli anni seguenti avrebbe raggiunto il monopolio nell'erogazione dei servizi energetici pubblici e privati.
A Brescia, localizzata in una posizione idrografica strategica, si moltiplicarono le iniziative e gli ardimenti del capitale e dell'ingegno per produrre e distribuire l'energia elettrica, che dalle valli bresciane si irradiava in città e nella provincie finitime attraverso una fitta rete di condutture elettriche. Alla fine del 1908, funzionavano sul territorio bresciano 206 impianti e, durante il medesimo periodo, la potenzialità complessiva degli impianti era aumentata da 2.300 HP a 26.000 HP. Oltre 120 comuni bresciani erano provvisti di illuminazione elettrica e 70 stabilimenti industriali, quasi sempre edificati nei pressi dei bacini idrici, possedevano impianti propri per il movimento dei macchinari, per l'illuminazione dei laboratori e degli uffici.
Il 1909, vide Brescia ospitare un altro importante evento dopo quello del 1904: l'Esposizione dell'Elettricità. In data 9 agosto 1909, “La Provincia di Brescia“, così riportava:
"Brescia ha lanciato un appello vigoroso agli industriali, che in questo campo hanno già dato prove d'intraprendenza o valore di produzione, ed all'appello hanno risposto entusiastiche parecchie ditte che hanno il compito di testimoniare l'importanza sempre maggiore che va assumendo questa Esposizione dimostrando in mezzo ai progressi che ha fatto l'elettrotecnica, quale sia il cammino percorso dalla Provincia nel movimento industriale del paese. Questa Esposizione ha messo in evidenza quale campo vastissimo abbia offerto la Provincia nell'applicazione dell'elettricità e del capitale forestiero, alla creazione delle forze da trasportarsi a grandi distanze per animare industrie di questa e delle province vicine, e quale altro campo importante di attività si sia schiuso alle industrie bresciane tributarie dell'elettronica; inoltre servirà a dimostrare come a Brescia si apprezzi l'istruzione popolare professionale, se ne riconosca il suo alto valore industriale per il miglioramento della manodopera.
L'elettricità, specie in questi ultimi tempi, ha progredito in potenza, ma in modo singolare ha guadagnato nelle doti più preziose della adattabilità e della sicurezza; così che ha potuto pervadere, con geniali applicazioni, quasi tutte le forme del lavoro, discendere nelle miniere, diventare ausiliaria dell'agricoltura, dell'igiene, della medicina, trasformarsi in messaggera di scambi intellettuali ed economici oltre i mari ed i monti.
In questa emulazione di energia l'Italia si trova in prima linea, soprattutto per quel che concerne le distribuzioni di energia dalle stazioni centrali, ai grandi trasporti di energia a distanza all'impiego della trazione elettrica nelle ferrovia.
All'appello di Brescia avevano risposto scienziati, costruttori e industriali ai quali la città apriva questa esposizione infinita nel momento più decisivo di civiltà, dando la speranza universale di un'auspicata era di pacifiche relazioni economiche e politiche, fraterne e sincere.
Per quanto riguarda la mostra d'igiene, non pochi erano gli espositori nel ramo Igiene del Lavoro; dall'Associazione Nazionale per la prevenzione contro gli infortuni, al Consorzio, vari sono gli enti che danno prova dell'attività loro nel campo della protezione dell'operaio. Né poche erano le istituzioni che illustravano con diagrammi, fotografie e relazioni, l'opera loro, nella lotta sociale contro la tubercolosi e l'alcolismo, dalla Associazione Padovana, contro la tubercolosi, al nostro dispensario, dalla Federazione Milanese antialcolica, alla locale fiorente Lega.
Numerosi erano pure gli stabilimenti che dimostravano il progresso nell'igiene dei loro laboratori, e dei loro refettori, mentre dall'altro canto, vari industriali, mostravano i progressi nelle misure di protezione contro le malattie professionali. Il Touring Club anche in questa mostra dava la prova della sua attività feconda; esso esponeva alcuni progetti di locande e di alberghi secondo le più elementari norme di igiene, e varie pubblicazioni di propaganda igienica.
Il ministro di Agricoltura, Industria e Commercio on. Coccu Ortuo, nel suo discorso con vero compiacimento si soffermò ad esaminare le singole mostre esprimendo vivissime lodi con parole lusinghiere ed incoraggianti assicurando che a questo moderno ramo d'insegnamento non sarebbe mai venuto meno l'aiuto del Governo. Inoltre, concedeva una medaglia d'oro e diverse medaglie d'argento per la Mostra dell'Igiene.
Alla stazione l'on. Coccu Ortuo, prima di partire, volle esprimere a tutti, con la sua piena soddisfazione per l'accoglienza affettuosissima avuta, la sua piena approvazione per la magnifica esposizione che giudicò riuscita e meritevolissima di studio."
La Belle Epoque non verrà ricordata solamente per il Can Can e per il cinematografo, ma anche per l'invenzione dell'automobile, che in breve tempo avrebbe spadroneggiato per le strade italiane. Nonostante fosse un lusso elitario, le prime automobili che sfrecciavano tra carrozze a cavalli, erano il sogno di tutti e per le vie tutti si fermavano per ammirarle.
La prima casa automobilistica italiana, la Fiat, nata nel 1899 a Torino, metteva in commercio ai primi del 900', il suo primo modello, la famosa "tre cavalli e mezzo", che registrò la vendita di pochi esemplari ma, con il passare degli anni, le carrozze a cavallo sarebbero state ben presto sostituite dell'automobile.
Dal 1903 al 1905 presero piede in Brescia tre industrie destinate alla fabbricazione di motori a scoppio e degli autoveicoli: la Società Meccanica Bresciana, la Fabbrica Automobili Brixia-Zust e la Soc. An. Bianchi Camions. Tuttavia, fra le varie case costruttrici, solamente la Brixia-Zust raggiunse una netta affermazione in campo commerciale riuscendo a reggere il confronto con la tenace concorrenza nazionale.
Per quanto riguarda l'attività armiera, la produzione di armi leggere e pesanti vedeva vedeva la Società Metallurgica Tempini in posizione preminente, vi lavoravano centinaia di operai bresciani. In Brescia erano presenti altre fabbriche d'armi: la Angelo Duina, la Domenico Sabatti e la Giovanni Micheloni. La Beretta era anche allora un'azienda importante e famosa, essa garantiva lavoro a una parte consistente della popolazione della Valtrompia.
In relazione all'evoluzione del settore chimico, per le possibilità offerte dal nuovo ambiente economico, si sviluppò una produzione collegata al settore industriale. La giovane industria chimica, specializzata e innovativa, rivoluzionò l'agricoltura grazie alla produzione dei fertilizzanti artificiali.
Le innovazioni di questo campo erano ancora minime nell'economia bresciana, dato che venivano prodotti pochi oggetti di uso comune ma, anni dopo, il connubio tra chimica ed elettricità avrebbe portato importanti modernizzazioni all'industria bresciana.
Per ciò che concerne l'industria tessile, quella della seta fu la più dinamica, mentre minori progressi conobbero l'industria laniera e quella cotonifera. Escludendo poche ditte concentrate sul lago di Garda, la lavorazione della lana in provincia, era inesistente ed il limite dell'industria tessile bresciana era caratterizzato dalla sopravvivenza della manifattura casalinga. Tuttavia anche in questo ramo, la tradizionale tessitura domestica, costituiva uno sbocco occupazionale per centinaia di microsocietà a conduzione famigliare.
I settori meccanico e metallurgico, all'inizio del secolo, furono investiti da un intenso processo di sviluppo tecnologico ed in città nacquero nuovi stabilimenti solitamente costruiti nei pressi delle grandi e moderne vie di comunicazione.
Ai primi del 900', in una posizione di guida nel campo del settore meccanico, era la ditta Conti & C. che produceva in Brescia motori idraulici, torchi idraulici, caldaie a vapore, pompe e centrifughe. Un'altra importante ditta era la Società Meccanica Bresciana che gestiva numerose officine dotate di macchinari precisi, sofisticati e moderni.
A seguito di un censimento industriale, l'industria bresciana era così catalogata: 47 chimiche, 944 dei metalli, 427 molitorie, 31 cartarie, 168 dei materiali da cava, 797 legno e materie analoghe, 1.168 alimentari e molitorie, 8 bottoniere, 323 concia e pelli, 86 edili, 26 miste, 44 poligrafiche, 13 torbiere, 420 per l'abbigliamento e arredamento, 45 cave e 5 minerarie. Per un totale di 4.189 aziende che impiegavano 51.700 addetti su una popolazione provinciale di 610.000 persone.
Concludendo, nel periodo giolittiano i progressi dell'industria accentuarono gli squilibri economico-sociali tra il Nord industrializzato ed il Sud rurale. Sia quantitativamente che qualitativamente l'industria si concentrò tra Genova, Milano e Torino, il cosiddetto triangolo industriale, favorito da un maggior sviluppo civile, moderne vie di trasporto che permettevano il commercio con i ricchi mercati europei e la presenza una borghesia competente, audace ed attenta alle fluttuazioni dei mercati internazionali. In questo quadro, Brescia godette di una posizione privilegiata che consentì di superare condizionamenti e freni che avevano caratterizzatosecoli precedenti. Brescia si affacciava al 'novecento con una forte determinazione a sviluppare iniziativa, produzione e ricchezza.